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venerdì 24 maggio 2019

Jacques Deray : Borsalino & Co. - con Alain Delon, Riccardo Cucciolla, Mireille Darc, Daniel Ivernel, Adolfo Lastretti - 1974

Dopo il successo di Borsalino, celebre film basato sull'accoppiata dirompente Delon-Belmondo, il grande regista francese Jacques Deray, dopo un intervallo di 5 anni, pensò bene di bissarne il successo, firmando la regia di un secondo film su Borsalino: appunto Borsalino & Co, prodotto dallo stesso Delon.
Evidentemente essendo morto nel primo film Capella/Belmondo, se Borsalino è Alain Delon, doveva contrapporgli come nemico un altro attore famoso: quel Riccardo Cucciolla che era balzato agli onori del cinema d'autore vincendo proprio in Francia, a Cannes, nel 1971, la Palma d'Oro per l'interpretazione maschile in Sacco e Vanzetti, di Giuliano Montaldo, e che da allora aveva lavorato con noti cineasti: in Francia non solo appunto con Jack Deray ma anche con Jean-Pierre Melville.
Nel film di Deray, l'attore barese, interpretava il doppio ruolo di Francesco Volpone e Giovanni Volpone.
In sostanza...
Francesco Volpone ha ucciso François Capella, socio di Roch Siffredi.
Avuta notizia che è stato lui a uccidergli Capella, Siffredi ne organizza l'uccisione sul treno Parigi- Marsiglia.  Ma Volpone era atteso a Marsiglia dal fratello Giovanni, che si è posto a capo di una gang, molto attiva negli affari, amico di pezzi grossi anche della politica. Volpone vedendo scendere dallo stesso treno dal quale non vede scendere il fratello, Roch Siffredi, capisce la sorte del fratello: evidentemente sapeva dell'uccisione di Capella (o proprio lui l'aveva decisa?). Così decide di vendicarsi: prima attenta alla sua vita dopo l'uscita d aun locale, poi concepisce un piano più articolato. Innnazitutto gli toglie di mezzo il braccio destro Fernand, facendogli fare un tuffo legato ad un masso, nel porto di Marsiglia, e poi cattura lui, riservandogli una fine non immediata: lo costringe ad ingurgitare alcool per più giorni fino a renderlo dipendente. E ne fa un povero derelitto, pronto a fare di tutto, anche umiliarsi, pur di bere un goccio di alcool.
Fernand, che intanto è riuscito a salvarsi dalla sua uccisione (si è liberato grazie ad un coltello che aveva in tasca, una volta buttato in acqua, con il quale ha reciso le corde che lo tenevano legato al mass), vaga per Marsiglia, elemosinando, alla ricerca del suo capo. Avendolo visto in giro, Volpone decide di fargli rivedere Siffredi e lo fa portare dal capo dei suoi scagnozzi, Sam, in un bistrot, dove Siffredi, ridotto ad uno straccio umano, elemosina cicchetti: non riconosce il suo vecchio braccio destro e addirittura cerca di colpirlo quando quegli gli toglie il bicchiere. 
Volpone ha chiamato la stampa che intanto immortala Siffreddi nelle pietose condizioni in cui vive e grazie alle connivenze maturate negli ambienti sua politici che della polizia (l'ispettore Cazenave è sul suo libro paga), riesce a farlo internare in un manicomio.
Pare finita per Siffredi, ma è proprio Fernand, il suo vecchio braccio destro, che, diventato operaio in una ditta di bare, lo fa scappare proprio dentro una di esse.
Intanto, Volpone si da da fare nel traffico internazionale di droga, nel controllo dei bordelli, e nel traffico internazionale di armi, prendendo armi dalla Germania e mandandole in Spagna, durante la guerra civile.
Il tempo di emigrare a Genova e disintossicarsi, che due anni dopo torna a Marsiglia con l'intenzione di vendicarsi: assoldati dei malavitosi italiani, prende sede in una sua vecchia dimora, ed elabora i piani della sua vendetta.
Innanzitutto va a liberare la sua donna, che è costretta a prostituirsi in un bordello gestito e controllato da Volpone: qui avviene la prima strage. Poi, prosiegue la sua opera di accerchiamento di Volpone, diventato un benemerito cittadino di Marsiglia, tramite amicizie altolocate nella borghesia marsigliese, tanto da inaugurare circoli e distinguersi nella beneficenza: amico di ambienti dell'ultradestra, simpatizzanti di fasciti italiani e nazisti in Germania, e immerso in affari illeciti, vorrebbe fare di Marsiglia il centro europeo dello spaccio di eroina: per metterlo in cattiva luce, pensa bene di togliergli di mezzo gli uomini più fedeli. Prima organizza sparatorie e stragi della gang di Volpone, poi elimina i chimici della centrale di spaccio dell'eroina, poi il deposito di droga; poi catturati Sam, il capo dei sicari di Volpone, e l'ispettore Cazenave, li costringono a ingurgitare alcool fino a renderli ubriachi fradici: portati in un locale e chiamata la stampa, essa li immortala mentre essi se le danno di santa ragione, e poi tentano anche di aggredire i poliziotti. Lo scandalo è enorme. Cazenave viene rimpiazzato dall'Ispettore Fanti, a cui aveva soffiato il posto tempo prima, e Volpone comincia a sentire sul collo, il fiato di Siffredi. L'ispettore Fianti, che deve in sostanza a Roch l'essere ritornato in sede, organizza nei suoi uffici di polizia un incontro a due tra Siffredi e Volpone: il primo annuncia al secondo che lo ucciderà.
Il prosieguo di questo incontro è l'attacco alla sede operativa di Volpone, dove Sam viene ucciso dopo che il capo dei sicari italiani, Luciano, è caduto vittima per primo. In varie scene si notano le sue amicizie fasciste:  in una quando Siffredi ripara a Genova, si vede  sulla scrivania di Volpone una foto del Duce, come quando in una scena prima che venga ucciso, su un proteggi-calorifero del suo studio un'altra foto autografata del Duce. Del resto le amicizie con ambienti di destra, vengono confermate, quando in stazione, Volpone incontra sul treno che dovrebbe farlo scappare, un emissario tedesco. Ma non corona i suoi sogni di fuga perchè Siffredi lo cattura e gli fa fare la fine più atroce possibile: lo brucia vivo nella caldaia della locomotiva.
Avrebbe Marsiglia ai suoi piedi, ma Siffredi, così come aveva fatto Capella anni prima, capisce che la sua parabola in Francia è finita, e prima che la polizia o qualche nuovo boss possa arrivare a lui, scappa via con la sua donna Lola, e il suo braccio destro Fernand, alla volta dell'America.

I costumi - i gessati e doppiopetti, i cappelli  Fedora (Il celebre Borsalino) - la fanno da padrone e ripropongono i temi del primo film, nonostante questo sia un film nato per fare soldi (anche qui Delon ne era produttore): non a caso, la commedia scanzonata ritmata da cazzotti e sparatorie del primo film e da bellissimi sfondi, viene sostituita da un film drammatico, in cui di commedia ce n'è poca, e c'è solo una disperata sete di vendetta: il ritmo qui è dato solo dalle sparatorie e dagli attentati. Sembra un film gangsteristico della Chicago degli anni '30, riproposto in Francia. 
C'è anche il cameo nell'immancabile Salone del barbiere: sulla poltrona, con la faccia ricoperta di asciugamani, Sam il guardiaspalle sicario di Volpone, viene affrontato da Siffredi: viene spontaneo alla mente l'assassinio sulla poltrona del barbiere, di Anastasia, del resto riproposto da Lucky Luciano di Francesco Rosi (guardacaso del 1973, un anno prima di Borsalino & Co).
Non è un film di classe come il primo ma ciononostante la presenza di due mostri sacri come Delon e Cucciolla lo rendono un ottimo sequel. Tra i comprimari, c'è un ruolo non accreditato della Farinon, quello di Mireille Darc che ritorna come donna di Roch, prostituta presente già nel primo film, e quello di Adolfo Lastretti, un grande caratterista italiano, ricordato per i tanti film del poliziottesco italiano, a cominciare dal notevole Confessione di un commissario di polizia al procuratore della repubblica, di Damiano Damiani passando per Il giustiziere sfida la città, di Umberto Lenzi e finendo a Il leone del deserto di M. Akkad, ma utilizzato anche sul set di grandi registi francesi: Flic Story di Jack Deray, Le Gitan di Josè Giovanni. Curiosamente i soli film francesi di Lastretti vedono tutti protagonista Alain Delon.
Evidentemente chi torreggia nel film è proprio lui, Delon che sfoggia il suo famoso Borsalino. La mancanza di un contr'altare francese, come Belmondo si vede e si sente: non basta la presenza di Cucciolla a non farne rimpiangere la presenza. Del resto Belmondo, protagonista de La Nouvelle Vague era protagonista amato in Francia troppo difficile da rimpiazzare, e per di più il famoso litigio tra le due star durante la lavorazione ebbe come effetto la corsa al botteghino - anche se Delon e Belmonto tardivamente hanno ammesso che fu una pochade montata dai giornali di cui loro si avantaggiarono - li aveva troppo messi a confronto, per non provare dispiacere davanti alla mancanza di uno dei due.
Se vogliamo tuttavia nel sequl, rispetto al primo Borsalino, c'è una nota anche di caratterizzazione politica : è come se il malavitoso dallo sguardo affascinante del primo Borsalino, si fosse trasformato in una specie di Mandrin redento dalla vena patriottica, opposto com'è a poteri forti fascisti contrari al vivere francese. Notiamo tuttavia due curiosità:
la prima politica, vede confrontarsi Delon e Cucciolla: Delon è sempre stato un simpatizzante nazionalista nonostante abbia lavorato con registi comunisti come Losey o Visconti, e interpreta un malavitoso francese che combatte contro un emigrato italiano, Volpone, dalle simpatie fasciste, interpretato da Cucciolla, attore invece famoso per ruoli impegnati di sinistra (Sacco e Vanzetti, I sette fratelli Cervi, Gramsci);
la seconda di cinema: il regista e porno attore Rocco Siffredi già Tano ha dichiarato più volte di aver assunto lo pseudonimo proprio dopo aver visto il Borsalino di Delon, che nel film era Roch Siffredi mentre il suo socio aveva un altro nome parecchio allusivo: "Capella".

P. De P.


lunedì 13 maggio 2019

Jean Delannoy : Maigret et l’affaire Saint-Fiacre, 1959 – con Jean Gabin, Michel Auclair, Valentine Tessier, Robert Hirsch, Michel Vitold, e confronto col romanzo originale


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Nell’ambito di una classificazione in cui i romanzi di Simenon siano presi in esame sulla base della cronologia di pubblicazione, L’affaire Saint-Fiacre, di Georges Simenon, si pone come il 13^ romanzo con protagonista principale il commissario Maigret.  

Fu scritto da Georges Simenon nel gennaio 1932, (dopo L’Ombre Chinoise e prima di Chez les Flamands) e pubblicato in Francia, nel febbraio dello stesso anno. Simenon pose l’azione romanzesca nella cittadina di Saint-Fiacre, nel dipartimento dell’Allier, vicino a Moulins. In realtà, in quel dipartimento non esiste nessuna cittadina con tale nome, anche se nella realtà ne esistono ben altre due, situate però in luoghi diversi: Saint-Fiacre nel dipartimento della Côtes-d’Armor nella regione della Bretagna; Saint-Fiacre, nel dipartimento di Seine-et-Marne, nella regione dell’Île-de-France. Tuttavia, se Simenon aveva dato un nome vero ad una località fittizia, è anche vero che il luogo in cui lui pose l’azione non gli era sconosciuto: infatti da giovane aveva lavorato, presso Moulins, a Paray-le-Frésil come segretario personale del Marchese Raymond d’Estutt de Tracy, che lì aveva un castello, il cui amministratore, fu preso ad esempio per la figura del padre di Maigret, che nel romanzo si dice esser stato intendente dei Conti di Saint-Fiacre. Da questo romanzo, fu tratto un film sul commissario Maigret.

Maigret et l’affaire Saint-Fiacre, è il secondo dei due films che Jean Delannoy realizzò. Avevano giurato lui e Jean Gabin, che il primo, Maigret tend un piège, di un anno prima, 1958, sarebbe stato l’unico.

Quando ci si provarono, i due, regista ed attore protagonista, erano molto conosciuti; ed avevano anche la stessa età: Delannoy già affermato regista e sceneggiatore, vincitore a Cannes nel 1946 con La symphonie pastorale, era nato nel 1908; l’indimenticabile Jean Gabin, invece, protagonista insuperabile del cinema realista francese (Golgotha e Pépé le Moko, di Julien Duvivier; La Grande Illusion, di Jean Renoir; Le Quai des brumes, Le jour se lève e La Marie du port, di Marcel Carné), aveva vinto ben due Leoni d’oro a Venezia nel giro di tre anni : La Nuit est mon royaume, di Georges Lacombe (1951); Touchez pas au grisbi, di Jacques Becker (1954).

E anche Georges Simenon era conosciuto, altrochè! Quindi un film che avesse celebrato il Maigret di Simenon, pur se snobbato dai più giovani, era destinato ad essere un grande successo commerciale. Infatti, l’enorme successo di pubblico riportato in quell’occasione, fece loro mutare il loro iniziale intendimento. Così si ritrovarono assieme per questo secondo Maigret, che come il primo, fu un clamoroso successo. E Jean Gabin tanto sfondò, che ancor oggi, cinematograficamente parlando, il Maigret di riferimento è ancora il suo.

Diversamente dalla prima pellicola, in cui Jean Gabin si era contrapposto ad Annie Girardot,  la seconda si avvalse di un grande interprete maschile, anzi due ( Michel Auclair e Robert Hirsch ) contrapposti a Gabin. Più tardi, nel 1963, ci fu il terzo Maigret di Gabin, Maigret voit roug di Gilles Grangier, in cui con lui recitò Fraçoise Fabian.

Rispetto al romanzo, il film parte con un diverso attacco: mentre nell’originale, Maigret si è messo in viaggio per Saint-Fiacre sulla scorta di un’informativa giunta da Moulins a Parigi, secondo la quale è in progetto un omicidio nella chiesa del paese durante la funzione di Ognissanti : « Un crime sera commis à l’église de Saint-Fiacre pendant la première messe du Jour des morts. », nella pellicola Maigret si reca a Saint-Fiacre chiamato personalmente dalla Contessa di Saint-Fiacre sulla base di una lettera indirizzata a lei, in cui le si annuncia che morirà durante la funzione delle Ceneri:  : «L’heure du chatiment a sonné. Tu mourras avant l’Office des Cendres». Stranamente, nel film, viene cambiato il tempo della morte: il giorno delle Ceneri al posto di quello dei morti. Ma non è la sola cosa che cambia. Innanzitutto il diverso incipit studiato sulla base di esigenza cinematografica: Maigret entra nel caffè principale della cittadina e si incontra con l’anziana contessa, e l’incontro è il mezzo ed il modo per lasciare un attimo i due ai ricordi comuni, della loro giovinezza, quando lui era un ragazzo biondo dagli occhi celesti, figlio dell’intendente delle proprietà dei Conti di Saint-Fiacre, e lei era la contessa, musa ispiratrice del ragazzo.

Nel romanzo, invece, Maigret rivede l’anziana contessa (60 anni!) alla messa dell’alba, la prima messa del giorno come annunciato nel messaggio di morte, mentre entra in chiesa e si siede al posto a lei riservato. In entrambi, la morte si verifica mentre sta indagando per scoprire chi stia dietro alle minacce, e quindi per lui, la morte della contessa rappresenta uno smacco e un incentivo a smascherare l’omicida e consegnarlo alla giustizia, tanto più che la nobildonna gli muore davanti agli occhi, dopo la Comunione, senza che lui o altri possano intuire quanto sta accadendo davanti ai loro occhi. In pratica qualcuno ha informato la vecchia che il figlio si è suicidato (per debiti?) a Parigi, per la vergogna di avere una madre come lei. Infatti nel film la presenza di Luciano Sabatier (perché proprio questo nominativo, se nel romanzo si chiama Jean Métayer ?), suo factotum e segretario non è spiegata intimamente, mentre nel romanzo la cosa è più esplicita, molto più esplicita: in pratica è il suo amante. In realtà il romanzo si spinge molto di là, nel presentare la contessa, donna di virtù fino ai quaranta-quarantacinque anni già vedova, poi..E quel definirla “donna di virtù” legando l’espressione ad un determinato arco temporale, da parte del dottore, Bouchardon, significa il resto, che cioè dopo è divenuta altro, insomma una ninfomane o poco ci manca. Una che cambia gli amanti con nonchalance, che accoglie fra le lenzuola i suoi segretari. Che a loro volta l’hanno spolpata, sprovveduta com’è, di tutti i suoi averi. Al resto ci pensa il figlio, Maurice de Saint-Fiacre, che sperpera e fa la bella vita. Pare che avesse avvisato la madre che sarebbe passato a chiedere altri quaranta-cinquantamila franchi per coprire un assegno scoperto.

Intanto la contessa è stata trasportata al castello e sopra un letto, spogliata nuda, il dottore la esamina e stila il suo verdetto di morte per sincope. E’ Maurice che pur confermando quello che ha detto Bouchardon, tenta di spiegare la condotta della madre, quale tentativo di ricevere affetto più che fare sesso.

Fatto sta che ben presto Maigret capisce di essere dentro un covo di serpi: il segretario, Lucien Sabatier, cerca di appropriarsi di un Luigi XVI amministrando furbescamente e disonestamente le proprietà della contessa ed è da tutti, indicato tanto “ladro” che già allerta il proprio avvocato; il figlio Maurice de Saint-Fiacre, appena arrivato al castello, sbandiera sotto il naso di tutti il giornale in cui è annunciata la sua finta morte. E’ stato lui a dare la notizia al giornale per uccidere la madre ed intascare l’eredità? Potrebbe anche essere, dato che è uno smidollato che ama il lusso, la bella vita e le donne, che ha distrutto senza battere ciglio le proprietà della sua famiglia, e ha portato già alcune volte la sua vecchia madre quasi al collasso, con la sua condotta da scavezzacollo; il vecchio amministratore che mette in cattiva luce altri ma non esita anche lui a cercare di ricavarci il proprio utile, in quel “mangia mangia” collettivo; persino il medico condotto ed il curato potrebbero avere avuto una parte nella morte. Fatto sta che tra costoro si cela una serpe.

A questo punto tra le due opere si nota una profonda spaccatura: cambia cioè il principe dell’azione investigativa: nel film è Maigret e gli altri assistono, nel romanzo il deus ex-machina è il figlio, mentre Maigret è in disparte che osserva e cerca di capire, ma non interviene o stenta a farlo, sopraffatto dagli eventi, e anche dall’iniziativa furibonda di Maurice, che intende farsi vendetta.

FILM

Maigret allora comincia ad indagare su chi abbia ucciso la vecchia in modo così vigliacco. Ma come è arrivata la notizia prima che il giornale venisse diffuso in paese? Questo è il problema!

E l’assassino, come ha fatto materialmente ad uccidere la contessa, visto che nessuno ha visto avvicinarvisi alcuno durante la Santa Messa? L’illuminazione porterà Maigret/Gabin a cercare il messale, dentro il quale, alla pagina della funzione religiosa, trovano un ritaglio di giornale della pagina incriminata.

Maigret  si reca allora nella redazione del giornale e cerca di mettere paura al responsabile della pubblicazione della notizia, ma capisce che è solo un giornalista superficiale. Tuttavia, seguendolo, si ritrova in un bistrot in cui ritrova gran parte dei protagonisti della storia: il contino, il segretario malfidato, e anche il figlio dell’intendente, avviato agli studi proprio con la protezione della contessa. Lì vede il redattore sfilarsi la giacca e appenderla, con dentro la copia del giornale appena uscito dalle rotative, e non ancora venduto: capisce che solo così qualcuno è riuscito ad impadronirsi della notizia e del ritaglio.

L’individuazione del responsabile avverrà durante una cena, alla presenza di tutti i protagonisti della vicenda. Di nuovo sostanzialmente il ruolo dei protagonisti cambia: mentre nel romanzo, Maigret, che ha subito lo smacco, si tiene in disparte e l’azione la conduce Maurice de Saint-Fiacre, che poi viene ucciso davanti agli occhi di tutti dall’assassino, e quindi Maigret ha solo la funzione di arrestare l’omicida, che gli porge i polsi.

ROMANZO ORIGINALE

L’azione è molto più complessa.

Innanzitutto il messale non si trova subito (neanche nel film), ma nel romanzo la consegna da parte del chierichetto avviene perché è stata promessa una ricompensa: la madre con il figlio consegna il messale a Maigret, che sa che il ragazzo l’ha trovato sotto la sua cotta: l’assassino, pensa Maigret, deve averlo messo lì, in attesa di recuperarlo più tardi. Più tardi il chierichetto (che si rivela un bugiardo, come la madre, testimoni falsi perché comprati) testimonierà falsamente che sarebbe stato Mètayer a corromperlo per avere indietro il messale con la prova al suo interno.

Nel film, inoltre si accenna al fatto che Maurice avesse un assegno da coprire, ma poi tutto passa al di sopra. In realtà..l’assegno ha un ruolo: Maurice era venuto la sera prima della morte al castello, per prendere un po’ di gioielli di famiglia e venderli, solo che sulla scalinata, aveva incontrato quello che si saprà più tardi essere l’assassino, che gli aveva candidamente detto che era appena uscito dalle lenzuola della madre.

Quindi Maurice, apparentemente aveva un movente per uccidere la madre, e in più era stato notato nella cittadina, mentre lui sosteneva di essere stato fino al giorno della morte della madre a Parigi.

Per di più, è sempre la mancanza di soldi, a smuovere la sua amante russa e a farla arrivare al castello.

Nel romanzo, sempre l’assegno, porta in rilievo la figura del curato, che nel film è una figura secondaria: è egli che provvede a coprire l’ammontare scoperto, ottenendo la somma dalla moglie del notaio del paese, e consegnandola a Maurice, perché vada via: egli infatti, è convinto che ad uccidere la contessa sia stato il figlio. Vuole così, evitare che la casata e la defunta siano ricoperti dallo scandalo, giacchè essa – pur in bilico tra la lussuria e la santità – è morta in grazia di Dio E sempre lui è stato, a nascondere il messale sotto la cotta, avendo compreso che a far morire la donna è stata un’emozione provata leggendo quello strano ritaglio di giornale.

Strano, perché nel film si dice sia stato preso da una pagina e nel romanzo originale, lo si presenta come preso da un abbozzo di pagina, che lo collega ovviamente subito ad un giornale o alla rotativa di una stamperia. Ma nel romanzo non c’è tutta l’indagine di Maigret presso il giornale, il colloquio col redattore, nulla: si fa menzione solo del caffè di provincia dove si ritrovano un po’ tutti, anche coloro che lavorano nel giornale.

In realtà nel romanzo, gli eventi è come se si snodino senza che il commissario possa metterci il suo, come se le cose dovessero andare a quel modo, secondo un piano prestabilito: gli eventi si susseguono in un vorticare intenso, con una tensione crescente. E intanto che la morta è stata vestita per il funerale, il castello diviene la meta di traffici legittimi e non: i fittavoli che vanno a rendere l’ultimo saluto alla loro padrona, i concittadini che dopo aver chiacchierato a lungo della condotta disdicevole della loro illustre castellana, vogliono riconciliarsi con lei, visitandola; e tutti coloro che dicono di averle prestato i soldi, che vogliono ricavarci qualcosa da quel patrimonio oramai quasi scomparso: Sabatier/Métayer, interessato ai mobili, da giornalista d’arte qual è; il figlio che cerca di evitare che gli ultimi spiccioli vadano in altre mani; l’intendente, Gautier, che accampa settantacinquemila franchi, spesi a suo dire per coprire degli ammanchi, e per le spese del funerale. Insomma, un atmosfera immonda: una donna morta di crepacuore, lasciata sola in una camera fredda, e altrove gli altri che si scannano per gli ultimi brandelli di quello che era il patrimonio di Saint-Fiacre. Sembrano quasi i soldati romani che si disputano la veste di Cristo, mentre questi è in procinto di morire. Solo che qui, il morto c’è già.

Insomma il romanzo è un “nero” alla francese, più che un giallo classico, perché qui c’è il movente, c’è l’arma, c’è il cadavere, ma non ci sono gli indizi che possano consentire anche al lettore di entrare in competizione con l’investigatore, cosa che altrove era rispettato (vedi i Carr e i Queen e anche in misura minore i Christie), e che qui invece non esiste. C’è bisogno allora di una scena finale, una cena,  “alla Walter Scott”, come dice il romanzo, per riunire assassino, detective vero (Maigret), presunto (Maurice) e gli altri protagonisti. Una scena nera. Gotica, nella sala da pranzo, rischiarata dalle candele. Questa scena, tuttavia, dimostra anche la tendenza di Simenon a recepire quegli schemi tecnici tipici del romanzo ad enigma  di tipo anglosassone, proprio di quegli anni: la scena finale, della riunione di tutti gli indiziati davanti al detective, è un motivo ricorrente.

Nella diversità delle due trame, vogliamo prendere in esame proprio questo momento finale per tentare di inquadrare l’atmosfera del film in rapporto al romanzo: innanzitutto il film è molto cupo e malinconico e questo è in linea con il Simenon originale, ma il Maigret di Delannoy è molto diverso da quello di Simenon. Tanto diverso che lo scrittore, pur incassando molto il film, criticò aspramente l’interpretazione di Gabin, tesa a emergere su tutti, mentre nel romanzo non è così, e soprattutto comportandosi più come un commissario che avesse assorbito la lezione dell’Hard-Boiled del dopoguerra (molto brusco nei modi, molto deciso nell’azione), che non come un Commissario ante-guerra, ancora molto vicino alla lezione del giallo classico. Infatti la maniera in cui Jean Gabin gigioneggia è quasi plateale: si direbbe che la sceneggiatura fosse stata realizzata proprio su misura per lui, per metterlo in mostra. Per es. guardare la scena molto drammatica in cui afferra l’assassino e lo trascina per la collottola, come un cane,fino al feretro della contessa in attesa della sepoltura, e costringe, in un crescendo drammatico e molto cinematografico, a inginocchiarsi dinanzi a lei per chiedere perdono. In tale prospettiva, il film, di quelli che a quell’epoca in Francia venivano definiti “cinéma de papa”, è un notevole esempio di poliziesco francese di un attimo prima che si diffondesse il cinema della Nouvelle Vague.

Nel romanzo simenoniano, la cena è invece il fulcro del piano di Maurice per smascherare l’assassino: lui ha capito chi sia, ma vuole che sia lui a smascherarsi, sapendo anche che non potrà mai essere accusato di nulla, perché inserire un foglio in un messale non è un reato, nemmeno quando provoca una morte. E quindi mette in scena una cena che Blasetti avrebbe definito “delle beffe”: ad uno ad uno esamina i possibili assassini, dichiarando solo nel caso di Bouchardon, che è il solo che tra i tanti, non avrebbe avuto nulla a ricavarci: il prete, da mistico qual è, avrebbe ricavato un’anima santa al paradiso invece di una persa nelle spire della lussuria e del peccato: sarebbe stato quindi un angelo vendicatore di Dio; Mètayer avrebbe potuto uccidere per evitare che il testamento, in cui era nominato, potesse essere cambiato nel momento in cui lui si fosse allontanato dalla contessa, per impalmare una qualche più avvenente ragazza; Gautier padre, intendente malfidato, avrebbe potuto ricomprare a prezzi stracciati le proprietà che sarebbero state già da lui stesso condotte alla rovina; il figlio,bancario modello, d’accordo col padre, avrebbe potuto conoscere benissimo la situazione finanziaria della contessa, da capire che non c’era alternativa alla sua morte, per togliere di mezzo il Métayer dal testamento, facendo ricadere su di lui, sospettato numero uno, i sospetti, anche perché di lui era divenuto il sostituto, perché anche lui, prima che arrivasse Jean, aveva goduto delle attenzioni particolari della contessa; e infine lui stesso, Maurice, che avrebbe potuto far morire la madre, per entrare subito in possesso dei pochi soldi rimasti, evitare che andassero ancora sperperati dai segretari amanti, dagli intendenti infidi, e riuscire a condurre una bella vita.

Una pistola a tamburo è posta in mezzo alla tavola, dove una decina di bottiglie d’annata fa sprofondar i presenti in un’atmosfera greve di minacce: allo scoccare della mezzanotte, qualcuno spara. E’ lui che dice di averlo fatto per dargli la possibilità di fare quello che non avrebbe mai fatto, da assassino della madre: uccidersi. E per questo accampa delle prove, che solo il vero assassino avrebbe potuto conoscere, rivolgendole contro il figlio morto. Quando..quando accade che il morto..resuscita: la pistola era stata caricata a salve. Ora è Maurice che afferra il suo sparatore, lo prende a cazzotti, lo smaschera davanti a tutti, poi lo prende per il bavero e lo trascina al pianori sopra, dove, a suon di cazzotti e calci in faccia, lo costringe a chiedere perdono al feretro della madre.

E così finisce Maigret et l’affaire Saint-Fiacre, senza che l’assassino possa essere arrestato, perché di assassinio si è trattato, ma di una natura inconsistente dal punto di vista processuale. Egli viene solo gonfiato di botte e lanciato giù per la scalinata, senza che Maigret si muova: è come se facesse da spettatore, in questa tragedia familiare, che come tutte o quasi tutte le altre avventure maigretiane, presenta una struttura sociale ben delineata e stratificata: il Primo Stato, i nobili decaduti; il Secondo Stato, rappresentato dalla Chiesa, quella rurale però; Il Terzo Stato, rappresentato dalla borghesia degli ordini professionali (la moglie del notaio, il dottore, il giornalista critico d’arte), e dal popolo: i fittavoli, l’intendente ed il figlio di umili origini, la pensionante di Maigret. E poi il poliziotto, l’ordine costituito: Maigret.

In ultima analisi, romanzo e film sono secondo me, due opere da possedere e da leggere.

Con gli occhi e con la mente.

P. DE P.

venerdì 10 maggio 2019

Gary Nelson : Delitto in tre atti ( Murder in Three Acts, 1986) con Peter Ustinov, Tony Curtis, Jonathan Cecil

Delitto in tre atti è il titolo di un lavoro destinato alla televisione, tratto dal famoso romanzo di Agatha Christie, Tragedia in tre atti.
La trama è quella del romanzo.
A casa dell'attore teatrale Cartwright si svolge un party, al quale è invitato anche Poirot, oltre che un amico di vecchia data dell'attore, il Dottor Bartholomew Strange; Lady Mary Lytton Gore e sua figlia Hermione; Il capitano Dacres e sua moglie Cynthia; Muriel Wills; Oliver Manders; Mr Satterthwaite; e il reverendo Babbington e sua moglie. Viene servito dello champagne, ma dopo il brindisi il reverendo stramazza a terra, morto.
Siccome nessuno dei presenti è conosciuto dagli altri meno che Cartwright e Strange, si pensa che si sia trattato di un evento accidentale e che il reverendo sia morto per un malore.
Nessuno da credito all'ipotesi dell'attore che si sia trattato di omicidio. Perchè in quel caso si sarebbe dovuto dimostrare come il reverendo avrebbe potuto proprio lui bere il brindisi avvelenato, invece di un altro. E siccome nessuno poteva volere la morte del reverendo perchè poi nessuno lo conosceva..
Tuttavia qualche tempo dopo, muore in circostanze simili proprio il Dottor Strange, a casa sua, nello Yorkshire, durante una cena, mentre era a cena con degli amici. Anche stavolta il caso vuole che il dottore muoia dopo aver bevuto un bicchiere di vino, che gli ha portato il sostituto del maggiordomo Ellis, che scompare senza lasciar traccia subito dopo la morte del dottore.
Sottoposto ad analisi il bicchiere, non vi si trova nulla, ma effettuata l'autopsia, i risultati rivelano che la causa della morte è stata avvelenamento da benzotina. A questo punto riesumano il cadavere del reverendo e vi trovano tracce della stessa sostanza velenosa. 
Poirot non era a cena e viene a sapere il tutto da  Satterthwaite e Cartwright, che sospettano che il maggiordomo ricattasse StrangeSia Satterthwaite che Cartwright in seguito trovano prove che dimostrano che stava ricattando Strange, mentre una cameriera  ricorda che Ellis si comportava in modo strano per un maggiordomo. Quando Wills viene intervistata, ricorda di aver notato qualcosa di strano alla festa, e che Ellis ha una voglia nella mano destra. Qualche tempo dopo, Wills scompare. Poirot  riceve un telegramma dalla signora De Rushbridger, una paziente al sanatorio di Strange . Poirot e Satterthwaite vanno ad incontrarla, solo per scoprire che è stata assassinata mediante cioccolatini avvelenati con benzotina.
Quindi raduna tutti e denuncia Sir Charles Cartwright come assassino. Cartwright vorrebbe sposare Hermione, ma ha già una moglie pazza. Poiché non può divorziare sotto la legge britannica, decide di uccidere Strange perchè a conoscenza del suo matrimonio, convincendolo ad assumerlo per una burla. Per poi lasciare false prove circa un ricatto. Infine la morte dell'anziana signora serve solo a stornare da lui i sospetti.

Poirot becca la signora Milray, innamorata segretamente dell'assassino, a distruggere le prove degli omicidi, cioè la nicotina. La signora Milray non sa però che l'omicida ha deciso di uccidere anche lei per eliminare tutti indizi che possano condurre la polizia a lui.
Poirot rivela che i suoi sospetti su Cartwright erano basati su alcuni fatti: Strange non aveva bevuto il cocktail avvelenato perché non amava i cocktail, mentre Hermione gli aveva rivelato che era stata convinta dall'attore di non berlo; non gli importava chi tra i suoi ospiti l'avesse bevuto. Il telegramma della signora De Rushbridger a Poirot fu inviato dallo stesso Cartwright. La signora Milray cercava di proteggerlo. La cameriera Wills che aveva subdorato alla cena di Strange come il falso maggiordomo si comportasse in maniera fu fatta sparire da Poirot  prima che Cartwright potesse ucciderla. Cartwright viene  arrestato. Satterthwaite osserva come anche lui avrebbe potuto bere il cocktail avvelenato, per la qual cosa Poirot sottolinea che c'era una possibilità peggiore: "It might have been me (Potrei essere stato io)".

Nel film ovviamente è Hastings che  riflette sulla possibilità che sarebbe potuto accadere a lui, provocando Poirot.
Lo spostamento dell'azione in America, è in ragione degli attori prescelti: se fosse stato un attore effettivamente di teatro, si sarebbe potuta lasciare l'azione in Inghilterra. Ma ve lo vedete Tony Curtis in Inghilterra? Già ci si ricorderebbero le gags tra lui e Roger Moore durante dei telefilms di molti anni fa! Allorchè si è realizzata la riduzione ad opera di Suchet, è stato reintegrato Cartright nelle sue vesti di attore teatrale e l'azione è stata rispostata in Inghilterra.
Curiosissima è la sostizione della nicotina con la benzotina. Che cosa poi sia non è dato sapere? Esiste la Benzatina, ma è una penicillina. E avvelenare uno con una penicillina per di più mortale, beh.. La cosa curiosa è che anche in Mistero a Crooked House sostituiscono il digitale col cianuro. Mah..
Tony Curtis può essere anche plausibile nelle vesti dell'assassino, mentre è Peter Ustinov che non sopporto proprio in quelle di Poirot, perchè al Poirot letterario non si  avvicina. Ma neanche un poco! Almeno in questo film! Finchè si trattava di Poirot sul Nilo, la trama e l'ambientazione potevano anche giustificare un Poirot alla Ustinov, ma in questo adattamento, vederlo ad Acapulco...
E inseriscono Hastings che non c'entra e gli fanno fare pure (gliela fa fare Poirot) la parte del buffone! Senza arrivare alla pignoleria di Suchet che è stato, si badi bene, attore teatrale drammatico prima di impersonare Poirot, Albert Finley è centomila volte meglio. 
Per certi versi a me piace più di Suchet. Non lo so perchè.

P. DE P.

mercoledì 8 maggio 2019

Gilles Paquet-Brenner : Mistero a Crooked House (Crooked House, 2017) - con Glenn Close, Terence Stamp, Max Irons, Gillian Anderson




Crooked House è un film di produzione anglo-statunitense diretto da Gilles Paquet-Brenner , basato sul romanzo di Agatha Christie del 1949. 
Il film è molto fedele all'originale tranne alcuni particolari.
Balza agli occhi quella testamentaria: nel romanzo si parla di due disposizioni testamentarie, la prima che assegna un tanto a tutti, e poi una seconda di cui nessuno sa nulla che assegna tutto alla nipote Sophia; nel film sono tre: la prima è quella del romanzo, la seconda è automaticamente quella che assegna tutto alla seconda moglie, in quanto mancano le firme del primo; la terza è la seconda dle romanzo.
La vicenda nel film è spostata di dieci anni in avanti, e la vicenda sentimentale tra Sophia e Charles non è affatto in svolgimento ma è finita al Cairo dove Charles è stato da lei abbandonato quando lei aveva scoperto che la sua famiglia era spiata da Charles che riferiva al Foreign Office, per certi affari compiuti da Leonides, il capofamiglia, nel mercato delle armi. Charles nel film viene poi contattato da Sophia in quanto detective privato (ma nel romanzo non esiste questa attività di Charles), tant'è vero che inizialmente per orgoglio lui vorrebbe rifiutare.
Il fatto che si rechi a casa della ragazza su suo incarico, ma foraggiato dalla polizia, chiarisce il rapporto che ha con Taverner, che nel film sollecita l'incarico del giovane sulla base del fatto che egli era figlio del Vice-Commissario morto (mentre nel romanzo il padre di Charles è ancora in attività).
La prima che incontra a casa della ragazza è la vecchia zia Edith che imbraccia un fucile da caccia con cui sta sparando a delel talpe e che parla dei modi per eliminarle (nel film Charles si ricorderà delle talpe dopo l'omicidio della tata, perchè il veleno usato nella cioccolata, il cianuro, viene usato per ammazzare tali animali: in realtà, il veleno usato nel libro è il digitale.
Allorchè nel film Charles trova il cianuro, egli trova anche il taccuino segreto di Judith dove egli trova riportata la confessione nella morte del nonno di Judith: in realtà nel libro, la rivelazione è di Edith. E' lei che l'ha letto nel taccuino, non Charles. E pertanto lei invia due lettere non una sola come nel film: una a Taverner in cui si autoaccusa, e una a Charles dicendo la verità.
Il film ovviamente aggiunge parecchio di azione alla vicenda, per esempio quando Edith con Judith si allontana in macchina per andare a buttarsi nella cava, rincorsa dall'auto con Sophia e Charles (cosa che nel romanzo non c'è: si viene a sapere che sono morte nella cava).
Infine, Judith finge di essere stata fatta oggetto di un tentativo di omicidio, tagliando con cesoie la scala di corda del rifugio sull'albero, per cui è caduta per terra da considerevole altezza nel film, mentre nel romanzo viuene colpita da un fermaporte in marmo.
I due amanti non si sa se si riconcilieranno a fine film anche pare si siano capiti, mentre nel romanzo sono stati e stanno ancora insieme quando finisce il film e lui si trova in sostanza futuro marito di un'ereditiera.
Spiccano per autorevolezza, sia Glenn Close (zia Edith) che magnetizza dall'inizio del film tutte le scene  con la propria presenza, sia il vecchio Terence Stamp (l'Ispettore Taverner) con il suo bellissimo sguardo, sia Gillian Anderson (la famosa agente Dana Scully di X-Files) diventata nel frattempo una delle attrici più premiate, sia di passaporto britannico che americano, che interpreta Magda Leonides (coni capelli neri e non biondi, non l'avevo riconosciuta).
Bel film.

P. DE P.