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sabato 22 giugno 2019

Lucio Fulci : Sette note in nero, 1977 - con Jennifer O' Neill, Gianni Garko, Gabriele Ferzetti, Marc Porel

Lucio Fulci, regista italiano  specializzato in B-Movie a basso budget che poi guadagnavano parecchio, scomparso nel 1996, ha sondato tutti i generi, si può dire: dai film musicarelli degli anni '60, ai film con Franchi & Ingrassia, alle sceneggiature per alcuni film di Totò; fu lui ad inventare Menicaroni/Sordi di Un giorno in pretura; passò dall'erotico della commedia all'italiano (La pretora, con E. Fenech), allo Spaghetti Western violento (Le colt cantarono la morte e fu... tempo di massacro), e a quello ancora più violento e con scene splatter, di tortura e persino cannibalismo (I quattro dell'apocalisse)che anticipano i suoi film horror, confezionati alla fine degli anni settanta inizio anni 80, che lo indicarono quale un maestro del cinema horror italiano da contrapporre a Dario Argento (Zombi 2, Paura nella città dei morti viventi, ...E tu vivrai nel terrore! L'aldilà, Quella villa accanto al cimitero). La caratteristica sua personale che trovasi sia nei suoi spaghetti western, sia nei film horror, sia nei pochi film gialli e thriller girati, è la violenza di alcune scene, talora insostenibile.
Abbiamo parlato di film gialli. Sì, Fulci ne girò tre o quattro.
Una sull'altra è un film girato come sequel di La donna che visse due volte di Hitchcock: è un film giallo, con molte scene erotiche lesbo anche spinte per il tempo (fu vietato ai 18 anni). Ebbe un ottimo successo, e convinse Fulci a girare un secondo film thriller che riscosse ancora successo di pubblico: Una lucertola con la pelle di donna. Il terzo film giallo  Non si sevizia (un) paperino, film inquietante e morboso ( presenta alcune scene splatter che si ritroveranno in altri film) è considerato da molti il suo capolavoro al pari del successivo Sette note in nero, che completa la quaterna dei film gialli. Oggi trattiamo quest'ultimo prodotto.
Film del 1977, è un classico giallo, in cui pur presentando una trama in cui vi sono momenti di violenza splatter, ha un'ottima sceneggiatura, che facendo leva sul paranormale ha numerosi inserti alla Dario Argento: il cadavere murato, oltre che essere un omaggio a Il gatto nero di Poe, è anche una risposta per esempio a quello murato nella stanza scomparsa di Profondo Rosso di Dario Argento.
Virginia, ha avuto visioni sin da quando piccola, assistè telepaticamente alla morte della madre, suicidatasi buttandosi dalla scogliera (mentre cade, sfracellandosi sulla scogliera e poi sulla riva, si assiste a quelle scene splatter che erano già presenti in Non si sevizia un paperino). Adulta e sposata a Francesco Ducci, un uomo ricco toscano, mentre è sull'autostrada, imboccando una serie di gallerie, ha la visione di un giornale con un volto di donna, una lampada rossa, uno specchio rotto, una icona bizantina, un muro con una nicchia ricavata all'interno, un cadavere di donna gocciolante di sangue, un uomo coi baffi che si affaccia ad una scalinata e una serie di passi zoppicanti.
Arrivata al casale del marito, riconosce in una delel sue stanze, quella in cui si trovava il mobile e la lalampada della visione, identificando una porzione di muro in cui è stato riempito qualcosa. Afferrato un piccone trovato in cantina, sfonda il muro e vi trova uno scheletro. Sa di avere trovato lo scheletro di quella donna la cui uccisione ha visto nelle sue visioni del passato. Ad una successiva ricognizione del cadavere, si assiste ad una prima sorpresa: la donna uccisa e murata non aveva una cinquantina d'anni, età dimostrata da quella nella visione di Virginia, ma venticinque. Virginia non sa cosa pensare.
La ragazza si chiamava Agnese Bignardi ed era al tempo l'amante del marito ora di Virginia. Ducci viene arrestato.
Tuttavia nella visione c'era anche un taxi giallo. Facendo un'indagine su quei pochi taxi gialli all'epoca si ritrova il tassista che parla della ragazza accompagnata da un uomo barbuto zoppicante, che aveva chiesto che fossero accompagnati alla Pinacoteca. Lì viene a sapere che nel 1972 era stato rubato un quadro di Vermeer, che compare anche nella sua visione. Facendo delel indagini viene a sapere che l'immagine sul giornale riproduceva la ragazza vicino ad un cavallo ad un concorso ippico X, quello del 1973, che si era tenuto in un periodo per il quale Ducci ha un alibi solidissimo. I sospetti ricadono allora sul prof. raspini, direrttore della Pinacoteca che Virgina riconosce essere quello che aveva visto in visione.
Una tale intanto la chiama al telfono e le dice di avere rivelazioni e le da un indirizzo. Recatasi, la trova morta, e trova in quella casa molte indicazioni presenti nelle sue visioni. Prima di andarvi aveva però saputo dal suo amico Luca, che la foto non ritraeva un cavallo del prof Raspini del X Concorso Ippico ma del IX, quindi 1972. E subito dopo sua cognata le aveva regaalto un orologio da polso coin un carillon che lei ha sentito nelal visione. Luca allora la convince che quelle visioni che ha avuto non si riferiscono a fatti accaduti ma che devonoa ccadere: sono precognizioni.
A casa della morta vede Raspini. Credendo che sia lui l'assassino, afferrà una lettera, anche lei nelal visione, inseguita da Raspini che vuole riprendersela. I due si ricorrono in una chiesa sottoposta a restauri in cui lui mette un piuede infallo, precipita fracasandosi la testa. 
Intanto la donna è ritornata al casale dove incontra il marito zoppicante. Mentre avviene qauesto, Raspini moribondo in ospedale confessa di aver rubato il Vermeer assieme alla Bignardi e a Ducci, ma di non averla uccisa lei ma Ducci. Lapolizia non le crede ma Luca sì. Slanciandosi verso il casale, fa in modo di essere inseguito da una pattuglia della Polizia stradale. Quando vi arrivano, trovano Ducci ma non la donna: infatti Ducci pensando che Virginia avesse letto la lettera, con cui Agnese ricattava Raspini e Ducci per il Vermeer, l'aveva colpita con un attizzatorio alla testa, e ancora tramortita esanguinante l'aveva rimurata nella nicchia, cambiando poi l'ordine dei mobili in modo che  non si vedesse la nicchia murata, venendo occultata da un mobile.
Lucae i poliziotti stanno andando via, quando il famoso carillon suona da dietro il muro, permettendo di salvare Virgina e arrestare l'assassino.
Gran bel giallo italiano, ricco di indizi e piste vere e false, colpi di scena ripetuti, una grande atmosfera, e suggestive interpretazioni: Ducci è Gianni Garko, Virginia è Jennifer O'Neill, Raspini è Gabriele Ferzetti, Luca è Marc Porel. La sceneggiatura vedeva tra gli altri Vieri Razzini, in quanto parte del soggetto era tratto da un suo romanzo.
Il film se all'inizio non destò grandi critiche positive, in seguito èstato ampiamente rivalutato e considerato il capolavoro di Fulci ed uno dei più bei film gialli italiani. 
E' stato ammirato anche all'estero, da Quentin Tarantino: infatti il motivo musicale del film viene ripreso nella scena di Kill Bill 1, dove Uma Thurman in ospedale, avendo capito di essere stata violentata mentre era in stato di incoscienza da un infermiere, lo uccide tagliandogli il tendine d'achille e poi fracassandogli la testa tra porta e stipite.

P. De P.

giovedì 20 giugno 2019

Lars Von Trier : La casa di Jack (The House that Jack Built), 2019. Con Matt Dillon, Bruno Ganz, Uma Thurman


L’ultimo film di Lars von Trier è stata un’altra provocazione.
Il famoso regista danese, noto anche per le sue dichiarazioni incaute che gli valsero nel 2011 a Cannes un’accusa di neonazismo e l’ostracismo, e per il fatto di aver ammesso che alcool e droga lo aiutavano a finire i film, ha firmato il suo ultimo film, La casa di Jack, buttandosi in un altro genere, il thriller.
Un film controverso, di violenza altissima, e per questo vietato ai diciotto anni. A dire il vero esistono due versioni: una sottotitolata integrale ed una con doppiaggio italiano in cui mancano cinque minuti di scene tagliata per la loro eccessiva violenza.
Protagonista principale è Matt Dillon. Interpreta un serial killer compulsivo.
E’ un architetto, infelice del suo lavoro: vorrebbe costruire una casa sul lago, la sua casa, ma è alla ricerca del materiale perfetto che lo ispiri: prima in cemento, poi in legno, ma ogni volta la casa è distrutta e rifatta da zero. L’edificazione della casa, cioè la realizzazione di un suo progetto, va di pari passo ad un altro: uccidere, quando la gratificazione è pari a 0 e invece il dolore per l’assenza di gratificazione è al massimo grado. Uccidere, ma secondo una vena artistica. Quasi che l'assassinio sia un'arte. E da qui la contaminazione che ci sarà in tutto il film con la specularità tra arte e negazione dell'arte, tra bello e brutto, tra vita e morte.
Il film si apre con una confessione al buio. Il protagonista si confessa a qualcuno. E parla di cinque incidenti che hanno influito sulla sua vita, accaduti nell’arco di 12 anni.
La prima vittima nasce per caso. Un’imbecille, insopportabile donna (interpretata da Uma Thurman), gli chiede aiuto sul ciglio della strada: il suo cric è rotto. Convince Jack a portarla al primo centro di assistenza dove ripareranno il suo cric, ma durante il viaggio lo sfotte in ogni modo dicendo che ha la faccia di un serial killer e ipotizzando per es. anche la sua morte (come se volesse morire), e poi in un successivo viaggio arriva al punto da dire che non avrebbe il coraggio di ucciderla perché è uno smidollato. Quello che avrebbe fatto chiunque sarebbe stato fermare l’auto e lasciare appiedata la stronza, invece Jack sceglie la via più sbrigativa: mentre guida, con la destra afferra il cric e con un colpo fracassa la faccia e la testa della donna, esaudendo il suo desiderio inconscio. Quindi col suo furgoncino rosso, trasporta il cadavere in città, laddove ha a disposizione un’enorme sala frigorifera, in cui ha accatastato una grande quantità di pizze che non mangerà mai, e lascia lì il cadavere..al fresco. Questo è il primo incidente, da cui origina tutto.
Avendo ucciso, e avendo constatato come inaspettatamente nessuno lo inquisisca anche per errori delle indagini, una volta che il suo ego prende il sopravvento, sente il bisogno di uccidere.
E’ la volta di una povera massaia, vedova, che pur inquadrato quel tale che gli ha bussato alla porta come un tipo strano, qualificatosi come un poliziotto prima e un assicuratore dopo, davanti alla possibilità di raddoppiarle la pensione, gli apre la casa e fa il più grande errore della sua vita, perché lui ben presto la strangola. Poi fa delle foto al cadavere in pose “artistiche”. Arriva un’auto della polizia, ma più lui si dimostra collaborativo, più il poliziotto cerca di scrollarselo di dosso. E questo mentre il cadavere è avvolto in una tela e legato per i piedi ad una fune collegata al furgoncino. Quando il poliziotto lo caccia, lui se ne va allegramente col cadavere che si fa la statale lasciando una scriscia di sangue sull’asfalto. Constatato lo stato devastante in cui arriva alla ghiacciaia, Jack pensa bene di ammazzare qualche altra.
E’ la volta di una tipa che si è innamorata di lui, sempre matura. Anche lei strozzata, anche lei fotografata in pose strane. Ora l’assassino si firma Mr Sofistication. E sempre poi riposta nella ghiacciaia.
Altri eventi si susseguono nell’arco dei 12 anni e altre donne vengono ammazzate:
una donna coi suoi due figlioletti. Innamoratasi di lui, capisce troppo tardi che l’ha portata in campagna solo per ucciderla. Ma prima uccide i bambini centrandoli in un terribile tiro a segno, che ricorda terribilmente il nazista di Schindler’s List che uccideva i prigionieri sparando con un fucile di precisione. E poi lei. In questo caso, Jack manifesta una follia della follia: con del fil di ferro, dopo la fine del rigor mortis dei cadaveri, congela i cadaveri facendo assumere pose strane grottesche: uno dei bambini, al quale prima di ucciderlo ha rotto un ginocchio, cambia grottescamente la forma della bocca, mettendogli l’espressione di un clown.
Poi uccide una ragazza che si era innamorta di lui, che troppo tardi capisce che lui è Mr Sofistication. Quell’assassino che intanto che lei è caduta nella sua trappola ha già ucciso 60 persone e con lei presto saranno 61. Lei cerca di fuggire, ferma un’auto della polizia, ma loro sordi ai suoi richiami pensano che sia ubriaca e la riconsegnano a Jack che prima di ucciderla, attratta dai suoi seni, glieli asporta tagliandoli con un coltello accuminato: uno lo mette come un trofeo sul tergicristalli di un’auto, dell’altro ne fa il suo portafoglio.
Ormai la ghiacciaia è piena di cadaveri. Ma lui è sempre più insoddisfatta perché la sua casa sul lago non prende forma.
Progetta di cambiare modo di uccidere e stavolta rapisce sei uomini che lega in maniera tale che le sei teste siano una accanto all’altra: vorrebbe ucciderli come facevano i nazisti in Europa orientale per risparmiare munizioni. Nel suo caso con un unico proiettile incamiciato. Solo che chi gli ha venduto i proiettili gli ha rifilato una fregatura. Dopo aver cercato di farsene dare qualcuno dal venditore che si rifiuta, va dal fabbro amico suo, quello che aveva riparato il cric della prima donna 12 anni prima. Lo cercano per una serie di rapine. Il suo furgone sempre rosso, probabilmente è stato confuso con un altro. Prima uccide lui, poi il poliziotto che quello aveva messo in allarme, confuso dalla tuta rossa che indossava il fabbro.
Poiché il furgone è bruciato, va alla ghiacciaia per finire il lavoro. Ora la casa che sa sempre voleva costruire con materiali forti e deboli, ha preso forma: è lì. Una orrorifica composizione di cadaveri, sistemati in modo tale da ricordare una casa. Ma sul più bello, arriva la polizia, che comincia con la fiamma ossidrica a tagliare la porta di acciaio della ghiacciaia.
Nel frattempo lui riesce ad aprire un ambiente che non era riuscito mai ad aprire del magazzino, e vi trova Verge (Virgilio). E’ lui colui al quale aveva cominciato a raccontare la sua storia. Ora si capisce che Virgilio è lì per accompagnarlo nell’Inferno. Visto che di lì a poco evidentemente anche Jack viene ucciso.
Virgilio (Bruno Ganz, in una delle sue ultime apparizioni cinematografiche prima della sua scomparsa quest’anno) gli fa prima vedere i Campi Elisi dove loro non possono entrare: hanno l’aspetto (o forse lo sono) dei campi che Jack da bambino ricorda che venivano falciati. Qui Jack piange per l’unica volta, ricordando l’infanzia perduta. Poi Verge lo porta laddove c’è un ponte crollato nella metà: sotto c’è un mare di fuoco. Tanti hanno tentato di passare dall’altra parte, laddove c’è una scala nella roccia da cui si risale nell’inferno, ma nessuno vi è riuscito e sono stati vittima del gorgo. Anche Jack tenta, ma anche lui vi precipita.
Ho visto tutti i film di Von Trier: alcuni mi sono piaciuti (Le onde del destino, Ninphomaniac), altri mi hanno lasciato interdetto (Antichrist), altri ancora mi hanno affascinato (Melancholia), Questo  è così pieno di citazioni e riferimenti, che diventa difficile seguirlo. Bisognerebbe aver letto i suoi intenti programmatici, prima di visionarlo.
Un film che peraltro ha raccolto molti giudizi contrastanti a confermare che quello che ho percepito, lo è stato da molti altri. Alcuni hanno applaudito per quindici minuti dopo la proiezione a Cannes, altri lo hanno bollato di un prodotto velleitario e senza nessuna forza.
Io direi che è un film degli eccessi. Così come un film di eccessi era Ninphomaniac, che era in sostanza la confessione di una donna che dal rapporto amoroso non riesce a ricavare più alcun brivido e finanche l’orgasmo, e che narra il suo percorso ad un uomo che gli fa da confessore; qui i messaggi che lascia sono così tanti, e connessi alla vicenda, da lasciare molto spesso estraniati: bisogna riavvolgere, andare indietro e riguardarsi alcune scene per capirne il senso L’unico messaggio, veramente squassante, perché calato nella richiesta di aiuto della ragazza a cui lui poi taglia i seni, è quello che von Trier lancia, e che è purtroppo una realtà della società contemporanea: anche se chiedi aiuto, nessuno te lo da, perché ognuno è chiuso in se stesso. Così chiuso che anche quando Jack grida di avere ucciso 60 persone, che è lui Mr Sofistication, i poliziotti  sono così sicuri di se stessi che non gli credono. Lui vorrebbe essere fermato ma il fatto che nessuno lo fermi aumenta la sua fiducia in sè stesso, nelle sue crudeltà, nella sua forza.
Stando alle dichiarazioni di Von Trier, il titolo del film è tratto da una nota ninna nanna (The House that Jack Built), ma è altrettanto evidente che Jack, serial killer di povere donne, è un ricordo di Jack the Ripper.
Il film viene costruito su delle affermazioni e sui suoi opposti:
la vita e la morte innanzitutto: la vita (il bambino) la morte (quella delle donne inermi). Ma anche il bambino viene ucciso quando si abortisce, e chi lo uccide? Delle povere donne;
il riferimento alle cattedrali, con una serie di immagini inserite nel film: “Le antiche cattedrali contengono spesso sublimi opere d’arte nascoste negli angoli più bui che può vedere solo dio, o comunque si voglia chiamare il grande architetto che ha realizzato il progetto. Lo stesso vale per l’omicidio” dice Jack. Alcuni hanno sottolineato il fatto che forse qui ci si riferisca al ruolo della massoneria: cattedrali, architettura, grande architetto.
Difficile non pensare durante la visione del film al romanzo a fumetti From hell, degli inglesi Alan Moore e Eddie Campbell, dove i crimini di Jack lo squartatore sono messi in diretta relazione con la costruzione dell’ordine massonico dell’Inghilterra vittoriana a cominciare dalle opere architettoniche più imponenti, come le cattedrali la cui costruzione sarebbe fondata su princìpi esoterici (Francesco Boille: L’orrore e l’empatia nel film La casa di Jack).
A Verge Jack rivela che nella sua infanzia, guardando i negativi di una pellicola, ha scoperto la luce negativa: “Quando avevo dieci anni ho scoperto che attraverso il negativo vedi la qualità demoniaca insita nella luce. La luce oscura”, una luce che non l’ha più abbandonato, che lo ha guidato verso l’elaborazione di un suo proprio ideale di architettura, verso un suo ideale di vita deviato. L’ombra insegue e divora la luce e viceversa in un processo simbiotico continuo.
Le continue elucubrazioni di Jack anche architetto, trovano precisi parallelismi nel film: e ad ognuna lettura di Jack al potere, all’arte e all’umanità, si contrappongono degli incidenti, 5 incidenti. Che a loro volta secondo alcuni possono richiamarsi ad un’opera di Warhol: fotografie di incidenti automobilistici.
Quando Jack imbraccia il fucile da caccia ed uccide la madre e i due figlioletti, fa un discorso, un altro dei suoi: “Abbattimento selettivo è un’espressione molto sgradevole. Ricorda abbastanza la pulizia etnica. Il perverso e contorto atto della caccia è stato ritualizzato a un livello molto inquietante”. E sottolinea il piacere che hanno i cacciatori nel mostrare i loro trofei, probabilmente rifacendosi al suo perverso collezionare e conservare i cadaveri delle sue vittime.
E si potrebbe dire ancora tanto: il discorso sull’architettura malata di Albert Speer, sul fatto che egli cercava dei materiali forti e deboli tanto che le sue opere un giorno, cadenti sarebbero state paragonate a quelle dell’antica Grecia (l’ossessione di Jack vede nei cadaveri il materiale perfetto per edificare la sua casa). Lo stesso piacere dell’uomo nella morte dell’altro, contamina con la sua negatività anche l’arte. E qui Jack parla dell’albero di Goethe, e del fatto che proprio lì i nazisti costruirono il campo di Buchenwald. E poi parla del fatto che nell’umanità ci sia la tigre e l’agnello e di come la religione abbia ucciso la nostra ferocia e ci abbia ridotti a degli agnelli , a degli schiavi. E qui le immagini e le citazioni di opere di William Blake.
Insomma, un thriller che non è un thriller, che usa le immagini e le situazioni a volte di una violenza insostenibile immorale, per sostenere un discorso morale.

P. De P.

martedì 18 giugno 2019

Jean-Pierre Melville : Notte sulla città (Un Flic, 1972) , con Alan Delon, Paul Crochet, Richard Crenna, Riccardo Cucciolla, Catherine Deneuve

Dopo I Senza Nome, Jean-Pierre Melville firmò Notte sulla città.
Per chi si aspettava un film sulla stessa falsa riga del precedente, fu una mezza delusione: questo è un film diverso, molto più introspettivo del precedente, che già lo era e poneva in luce il determinismo dei protagonisti.
Alan Delon è il Commissario Corman, un poliziotto disilluso e disincantato, che svolge le sue mansioni senza alcuna passione, ma perchè devono essere svolte. Accanto gli è sempre Morand, un suo sottoposto. Insieme, svolgono un lavoro sulla strada.
Mentre i due svolgono il loro lavoro di routine, per esempio andando in una squallida pensione dove è stato annunciato il ritrovamento del cadavere di una prostituta, altrove quattro compari assaltano una piccola banca. Il colpo è stato pensato solo come autofinanziamento per un colpo ancor più grosso. A capo della banda è Simon, il padrone di un famoso nightclub di Parigi, frequentato da Corman. Suoi compari, tre disperati: Louis Costa, Paul Weber, e Marc Albouis. Marc e Louis si conoscono tra loro, mentre Paul era un bancario che lavorava nella banca dalla quale è stato licenziato e che lui assieme ai suoi compari assalta.
Tutto va liscio finchè uno dei bancari riesce prima adare l'allarme e poi a sparare a Marc. Tuttavia riescono a scappare, e con una recita in una stazione, acquistando dei biglietti, riescono a far credere di essere fuggiti in treno mentre invece usano un'auto. Il compagno ferito viene ricoverato in una clinica, mentre gli altri tre riparano a Parigi.
Per evitare che interrogato possa parlare, tentano di trasportarlo altrove, ma oppostasi una infermiera di piantone, attuano il piano B: la moglie di Simon, Cathy, travestita da infermiera, si introduce nella camera di Albouis e lo uccide.
Passano quindi a progettare il vero colpo: devono rapinare un corriere di droga in treno. Una volta rapinato, la droga gli verrà pagata da coloro ai quali loro l'avranno sottratta senza che la polizia lo venga a sapere. Tutta via Corman viene a sapere della cosa, da un suo informatore, un travestito che vuole essere lasciato in pace: così ciascuno dei tre soggetti, il commissario, la banda dei rapinatori, e il corriere, sa che altri sanno.
E' un po' lo stesso muto dialogo di sguardi che oppone Corman a Cathy e Simon. Cathy è moglie di Simon e assieme l'amante di Corman: nel club parigino, Corman e Cathy si guardano, Cathy guarda Simon, Simon guarda Cathy e Simon, Corman guarda Simon. E' come un gioco, ma in fondo non lo è.
Il colpo si conclude da manuale: Simon viene calato da un elicottero sul treno in corsa, e pentratovi, nel bagno si cambia, svestendosi e assumendo l'identità di un viaggiatore in vestaglia e pantofole. Quindi con una potente calamita, apre dall'esterno loo scompartimento del corriere, lo mette KO, si impossessa della valigia con la droga, la passa ai complici in elicottero e lui stesso vi si issa.
Tutto finito?
No. Perchè il complice morto viene riconosciuto e la foto è diffusa dalla stampa.
Corman mette in collegamento Albuis e Costa e sapendo dove qauesti va a pranzare, riesce prima ad arrestarlo epoi con un quarto grado a fargli confessare i nomi degli altri due.
A quel punto si reca dal suo amico Simon e lo mette al corrente che è stato riconosciuto come amico da Costra mentre lui stesso rifiuta di ammettere di conoscerlo. Corman non lo arresta, perchè aspira a mettere le mani sulla droga, ma da a Simon la possibilità di avvisare telefonicamente Weber.
Mentre la polziia con in testa Corman sta per arrestarlo, Weber si spara.
A quel punto Corman, tenendo sotto controllo il telefono di Simon, e della moglie, viene a sapere della fuga pianificata dai due e in Avenue Crnot lo uccide sparandogli, avendo interpretato male un suo tentativo falso di prendere la pistola: Simon siccome non avrebbe mai avuto la forza di uccidersi, sceglie di essere ucciso dall'amico/rivale, facendogli credere di stare per sparargli.
Tutto sotto lo sguardo di Cathy, l'angelo della morte.
Un Flic, è il canto del cigno di Melville: stava progettando un nuovo film, quando dopo poco tempo dall'uscita del film, fu stroncato da un infarto.
Del resto oltre a firmare la regia, si era occupato del montaggio e aveva allestito la sceneggiatura, e perciò l'accoglienza da parte della critica lo toccò. Non a caso. Anche se prodotto minore rispetto a Frank Costello faccia d'angelo e a I senza nome, Notte sulla città porta all'estremo le scelte cromatiche di Melville. Egli era il re incontrastato dell'azzurro: molto spesso la cromaticità delle sue scene vira sull'azzurro, che è una tonalità affine alla depresione alla melanconia e al drammatico. In questo film vi sono molte inquadrature che usano l'azzurro e il celeste: si incomincia con la tentata rapina, e tra enormi cavalloni d'acqua marina che si infrangono, e gru e gabbiani che solcano il cielo, i quattro arrivano in macchina. La banca è un edificio celeste, isolato dagli altri. La cromaticità ha un preciso scopo: quando sono applicate all'architettura, tali combinazioni di colori influenzano psicologicamente la percezione dello spazio, con certi colori che attirano maggiormente l'occhio. E' questo un principio usato anche da Le Corbusier. E costruita dall'architetto francese, sembra  la lunga teoria di facciate di palazzi tutti uguali, dagli stessi colori, seguiti poi da altri palazzi tutti uguali in cui predomina altro: prima l'arancione, poi il marrone alternati al bianco. Ed ecco lo stabile celeste, laddove è ubicata la banca. L'atmosfera, la pioggia, la desolazione in cui si muove l'azione, tutto concorre a isolare la situazione principale: non sembrerebbe possibile che nessuno si muova per la strada. Sembra che siamo finiti in un posto sperduto.
La massa di blu-bianco sembra diventare parte dell'ambiente naturale, la mancanza di persone suggerisce che lo spazio è stranamente parte del più vasto ambiente effimero: cielo, gru, gabbiano, onde, costruzione, nebbia. Che effetto ha questo sul dramma? A parte la tensione precedentemente menzionata, la sensazione è che i rapinatori pericolosi possano facilmente svanire nell'etere. Tutta l'estetica gioca con un problema che Le Corbusier stava cercando di risolvere, dissolvendo tutto insieme fino a che non fosse semplicemente una gamma di forme. Tale colorazione chiara, queste sfumature bianco-blu, erano il tipo di toni atmosferici che il progettista usava per materializzare i confini dello spazio, cercando anche di non limitare in ultima analisi tale spazio, ciò che a volte etichettava come pigmenti o colori "di transizione". Il drame azur è l'equivalente dei colori di transizione di Le Corbusier (il che spiega anche perché molti dei primi film seguono personaggi che sembrano in qualche modo scomparire). In Un Flic, la tavolozza dei colori materializza solo parzialmente tali limiti; lo spazio è lasciato opaco, senza restrizioni e senza fine, l'auto criminale scomparirà nell'aria bianco-blu per causare più caos quando emergerà in un ambiente più solido
(Adam Scovell,  Jean-Pierre Melville’s Un Flic (1972) and Le Corbusier’s Transitional Pigments)
Per di più, lo spazio esterno parallelismo di quello interiore, è un tributo ad Antonioni.
C'è poi anche una funzione specchio: la Parigi notturna desolata si riflette in quella del paesaggio di Maurice de Vlaminck, il ritratto di van Gogh in quello del ladro Simon che ammira la tela: entrambi hanno lo stesso cappello. 
Come ogni film, anche questo ha un suo motivo guida:
Questo mestiere rende scettici dice Morand all'obitorio. Specie sullo scetticismo, aggiunge Corman.
E rimarca: "In fondo i soli sentimenti che un uomo abbia ispirato ad un poliziotto sono l'ambiguità e la derisione. La derisione.." Ambiguità e derisione che pare ispirino le azioni del commissario Corman: è lui in fondo che intrattiene ambigui rapporti con il travestito suo informatore, che tratta quasi come un cliente e che poi deride quando la trappola sul treno si rivela un flop; è lui che intrattiene ambigui rapporti con Simon, suo amico in quanto proprietario di un nunght club parigino, essendone nel contempo l'amante della moglie, Cathy: si osservino gli sguardi incrociati, le botte e risposte tra i tre nel night club, quando ognuno dei tre guarda gli altri due: ognuno pensa di gestire al meglio la situazione ma non sa che gli altri sanno. Del resto, il titolo, sottolinea questa ambigutà del poliziotto: flic è un nomignolo.
Sin dall'inizio del film, vi è un costante rapporto di confronto tra l'uomo e la morte: prima è ferito gravemente Marc durante la rapina, ucciso poi da Cathy; poi un'altra sfida alla morte nell'attacco al treno; poi Paul si uccide per non  essere processato; infine Simon, quasi in un duello, viene ucciso da Corman, sotto gli occhi di Cathy, elemento catalizzatore di entrambi: ama il marito ma ha anche come amante il commissario. E' come se Simon sapesse che la moglie va a letto col commissario, è come se fosse questo un modo per esorcizzarne le azioni, per sapere prima come regolarsi. E' un gioco pericoloso, tanto più che Simon ha una doppia identità: è imprenditore e nello stesso tempo rapinatore. E tanto più che non si può neanche escludere , nell'ambiguità dei rapporti che intercorrono tra Corman e Simon, che anche Corman supponga la doppia natura di Simon e che perciò la relazione con la moglie di quello non sia altro che un gioco per controllarlo, per sapere o ipotizzare alcune mosse.Non a caso, quando capiscono chi sia il bandito morto, immediatamente Corman collega Simon agli altri della banda. E con un atteggiamento ancora una volta ambiguo, non procede all'arrestro di Paul e Simon dopo aver fermato Costa, ma fà sì che il primo si suicidi, ed il secondo possa affrontarlo in un duello all'ultimo sangue: chi non fuggirà alla morte, sarà suo prigioniero.
Un'ultima cosa: anche se Melville stava preparandone un altro, questo film è un po' come un capolinea per lui. E come tale è ricco di riferimenti, di allusioni: quelle sul muro della squallida stanza della pensione in cui viene trovata uccisa la prostituta, e tra le altre... Bob, Gustav Minda, Jeff Costello che richiamano Bob le flambeur, Le deuxième souffle e Le samouraï ; ci sono persino delle eccessività, da alcuni intese come provocazioni (per es. il treno e l'elicottero, chiaramente dei modellini, come nei film giapponesi di Godzilla degli anni settanta); e c'è la più lunga scena di vestizione del cinema (anche questa una sorta di provocazione), dettagliatissima: quella di Richard Crenna nel treno.
Grandissima interpretazione di Riccardo Cucciolla, mentre Crenna sembra un po' spaesato.



Pietro De Palma