L’ultimo film di Lars von Trier è stata un’altra
provocazione.
Il famoso regista danese, noto anche per le sue
dichiarazioni incaute che gli valsero nel 2011 a Cannes un’accusa di neonazismo
e l’ostracismo, e per il fatto di aver ammesso che alcool e droga lo aiutavano
a finire i film, ha firmato il suo ultimo film, La casa di Jack,
buttandosi in un altro genere, il thriller.
Un film controverso, di violenza altissima, e per questo
vietato ai diciotto anni. A dire il vero esistono due versioni: una
sottotitolata integrale ed una con doppiaggio italiano in cui mancano cinque
minuti di scene tagliata per la loro eccessiva violenza.
Protagonista principale è Matt Dillon. Interpreta un
serial killer compulsivo.
E’ un architetto, infelice del suo lavoro: vorrebbe
costruire una casa sul lago, la sua casa, ma è alla ricerca del materiale
perfetto che lo ispiri: prima in cemento, poi in legno, ma ogni volta la casa è
distrutta e rifatta da zero. L’edificazione della casa, cioè la realizzazione
di un suo progetto, va di pari passo ad un altro: uccidere, quando la
gratificazione è pari a 0 e invece il dolore per l’assenza di gratificazione è
al massimo grado. Uccidere, ma secondo una vena artistica. Quasi che l'assassinio sia un'arte. E da qui la contaminazione che ci sarà in tutto il film con la specularità tra arte e negazione dell'arte, tra bello e brutto, tra vita e morte.
Il film si apre con una confessione al buio. Il
protagonista si confessa a qualcuno. E parla di cinque incidenti che hanno
influito sulla sua vita, accaduti nell’arco di 12 anni.
La prima vittima nasce per caso. Un’imbecille,
insopportabile donna (interpretata da Uma Thurman), gli chiede aiuto sul ciglio
della strada: il suo cric è rotto. Convince Jack a portarla al primo centro di
assistenza dove ripareranno il suo cric, ma durante il viaggio lo sfotte in
ogni modo dicendo che ha la faccia di un serial killer e ipotizzando per es.
anche la sua morte (come se volesse morire), e poi in un successivo viaggio
arriva al punto da dire che non avrebbe il coraggio di ucciderla perché è uno
smidollato. Quello che avrebbe fatto chiunque sarebbe stato fermare l’auto e
lasciare appiedata la stronza, invece Jack sceglie la via più sbrigativa: mentre
guida, con la destra afferra il cric e con un colpo fracassa la faccia e la
testa della donna, esaudendo il suo desiderio inconscio. Quindi col suo
furgoncino rosso, trasporta il cadavere in città, laddove ha a disposizione
un’enorme sala frigorifera, in cui ha accatastato una grande quantità di pizze
che non mangerà mai, e lascia lì il cadavere..al fresco. Questo è il primo
incidente, da cui origina tutto.
Avendo ucciso, e avendo constatato come inaspettatamente
nessuno lo inquisisca anche per errori delle indagini, una volta che il suo ego
prende il sopravvento, sente il bisogno di uccidere.
E’ la volta di una povera massaia, vedova, che pur
inquadrato quel tale che gli ha bussato alla porta come un tipo strano,
qualificatosi come un poliziotto prima e un assicuratore dopo, davanti alla
possibilità di raddoppiarle la pensione, gli apre la casa e fa il più grande
errore della sua vita, perché lui ben presto la strangola. Poi fa delle foto al
cadavere in pose “artistiche”. Arriva un’auto della polizia, ma più lui si
dimostra collaborativo, più il poliziotto cerca di scrollarselo di dosso. E
questo mentre il cadavere è avvolto in una tela e legato per i piedi ad una
fune collegata al furgoncino. Quando il poliziotto lo caccia, lui se ne va
allegramente col cadavere che si fa la statale lasciando una scriscia di sangue
sull’asfalto. Constatato lo stato devastante in cui arriva alla ghiacciaia, Jack
pensa bene di ammazzare qualche altra.
E’ la volta di una tipa che si è innamorata di lui,
sempre matura. Anche lei strozzata, anche lei fotografata in pose strane. Ora l’assassino
si firma Mr Sofistication. E sempre poi riposta nella ghiacciaia.
Altri eventi si susseguono nell’arco dei 12 anni e altre
donne vengono ammazzate:
una donna coi suoi due figlioletti. Innamoratasi di lui,
capisce troppo tardi che l’ha portata in campagna solo per ucciderla. Ma prima
uccide i bambini centrandoli in un terribile tiro a segno, che ricorda terribilmente
il nazista di Schindler’s List che uccideva i prigionieri sparando con un
fucile di precisione. E poi lei. In questo caso, Jack manifesta una follia
della follia: con del fil di ferro, dopo la fine del rigor mortis dei cadaveri,
congela i cadaveri facendo assumere pose strane grottesche: uno dei bambini, al
quale prima di ucciderlo ha rotto un ginocchio, cambia grottescamente la forma
della bocca, mettendogli l’espressione di un clown.
Poi uccide una ragazza che si era innamorta di lui, che
troppo tardi capisce che lui è Mr Sofistication. Quell’assassino che intanto
che lei è caduta nella sua trappola ha già ucciso 60 persone e con lei presto
saranno 61. Lei cerca di fuggire, ferma un’auto della polizia, ma loro sordi ai
suoi richiami pensano che sia ubriaca e la riconsegnano a Jack che prima di
ucciderla, attratta dai suoi seni, glieli asporta tagliandoli con un coltello
accuminato: uno lo mette come un trofeo sul tergicristalli di un’auto, dell’altro
ne fa il suo portafoglio.
Ormai la ghiacciaia è piena di cadaveri. Ma lui è sempre
più insoddisfatta perché la sua casa sul lago non prende forma.
Progetta di cambiare modo di uccidere e stavolta rapisce
sei uomini che lega in maniera tale che le sei teste siano una accanto all’altra:
vorrebbe ucciderli come facevano i nazisti in Europa orientale per risparmiare
munizioni. Nel suo caso con un unico proiettile incamiciato. Solo che chi gli
ha venduto i proiettili gli ha rifilato una fregatura. Dopo aver cercato di
farsene dare qualcuno dal venditore che si rifiuta, va dal fabbro amico suo,
quello che aveva riparato il cric della prima donna 12 anni prima. Lo cercano
per una serie di rapine. Il suo furgone sempre rosso, probabilmente è stato
confuso con un altro. Prima uccide lui, poi il poliziotto che quello aveva messo
in allarme, confuso dalla tuta rossa che indossava il fabbro.
Poiché il furgone è bruciato, va alla ghiacciaia per
finire il lavoro. Ora la casa che sa sempre voleva costruire con materiali
forti e deboli, ha preso forma: è lì. Una orrorifica composizione di cadaveri,
sistemati in modo tale da ricordare una casa. Ma sul più bello, arriva la
polizia, che comincia con la fiamma ossidrica a tagliare la porta di acciaio
della ghiacciaia.
Nel frattempo lui riesce ad aprire un ambiente che non
era riuscito mai ad aprire del magazzino, e vi trova Verge (Virgilio). E’ lui
colui al quale aveva cominciato a raccontare la sua storia. Ora si capisce che
Virgilio è lì per accompagnarlo nell’Inferno. Visto che di lì a poco
evidentemente anche Jack viene ucciso.
Virgilio (Bruno Ganz, in una delle sue ultime apparizioni
cinematografiche prima della sua scomparsa quest’anno) gli fa prima vedere i Campi
Elisi dove loro non possono entrare: hanno l’aspetto (o forse lo sono) dei
campi che Jack da bambino ricorda che venivano falciati. Qui Jack piange per l’unica
volta, ricordando l’infanzia perduta. Poi Verge lo porta laddove c’è un ponte
crollato nella metà: sotto c’è un mare di fuoco. Tanti hanno tentato di passare
dall’altra parte, laddove c’è una scala nella roccia da cui si risale nell’inferno,
ma nessuno vi è riuscito e sono stati vittima del gorgo. Anche Jack tenta, ma
anche lui vi precipita.
Ho visto tutti i film di Von Trier: alcuni mi sono piaciuti
(Le onde del destino, Ninphomaniac), altri mi hanno lasciato interdetto (Antichrist),
altri ancora mi hanno affascinato (Melancholia), Questo è così pieno di citazioni e riferimenti, che
diventa difficile seguirlo. Bisognerebbe aver letto i suoi intenti
programmatici, prima di visionarlo.
Un film che peraltro ha raccolto molti giudizi contrastanti
a confermare che quello che ho percepito, lo è stato da molti altri. Alcuni
hanno applaudito per quindici minuti dopo la proiezione a Cannes, altri lo
hanno bollato di un prodotto velleitario e senza nessuna forza.
Io direi che è un film degli eccessi. Così come un film
di eccessi era Ninphomaniac, che era in sostanza la confessione di una donna che
dal rapporto amoroso non riesce a ricavare più alcun brivido e finanche l’orgasmo,
e che narra il suo percorso ad un uomo che gli fa da confessore; qui i messaggi
che lascia sono così tanti, e connessi alla vicenda, da lasciare molto spesso
estraniati: bisogna riavvolgere, andare indietro e riguardarsi alcune scene per
capirne il senso L’unico messaggio, veramente squassante, perché calato nella
richiesta di aiuto della ragazza a cui lui poi taglia i seni, è quello che von
Trier lancia, e che è purtroppo una realtà della società contemporanea: anche
se chiedi aiuto, nessuno te lo da, perché ognuno è chiuso in se stesso. Così
chiuso che anche quando Jack grida di avere ucciso 60 persone, che è lui Mr
Sofistication, i poliziotti sono così
sicuri di se stessi che non gli credono. Lui vorrebbe essere fermato ma il
fatto che nessuno lo fermi aumenta la sua fiducia in sè stesso, nelle sue
crudeltà, nella sua forza.
Stando alle dichiarazioni di Von Trier, il titolo del
film è tratto da una nota ninna nanna (The House that Jack Built), ma è
altrettanto evidente che Jack, serial killer di povere donne, è un ricordo di Jack
the Ripper.
Il film viene costruito su delle affermazioni e sui
suoi opposti:
la vita e la morte innanzitutto: la vita (il bambino)
la morte (quella delle donne inermi). Ma anche il bambino viene ucciso quando
si abortisce, e chi lo uccide? Delle povere donne;
il riferimento alle cattedrali, con una serie di immagini
inserite nel film: “Le antiche cattedrali contengono spesso sublimi opere
d’arte nascoste negli angoli più bui che può vedere solo dio, o comunque si
voglia chiamare il grande architetto che ha realizzato il progetto. Lo stesso
vale per l’omicidio” dice Jack. Alcuni hanno sottolineato il fatto che
forse qui ci si riferisca al ruolo della massoneria: cattedrali, architettura,
grande architetto.
Difficile non pensare durante la visione del film al
romanzo a fumetti From hell, degli inglesi Alan Moore e Eddie Campbell, dove i
crimini di Jack lo squartatore sono messi in diretta relazione con la
costruzione dell’ordine massonico dell’Inghilterra vittoriana a cominciare
dalle opere architettoniche più imponenti, come le cattedrali la cui
costruzione sarebbe fondata su princìpi esoterici (Francesco Boille: L’orrore e l’empatia nel film La casa di Jack).
A Verge Jack rivela che nella sua infanzia, guardando
i negativi di una pellicola, ha scoperto la luce negativa: “Quando avevo
dieci anni ho scoperto che attraverso il negativo vedi la qualità demoniaca
insita nella luce. La luce oscura”, una luce che non l’ha più abbandonato,
che lo ha guidato verso l’elaborazione di un suo proprio ideale di architettura,
verso un suo ideale di vita deviato. L’ombra insegue e divora la luce e
viceversa in un processo simbiotico continuo.
Le continue elucubrazioni di Jack anche architetto,
trovano precisi parallelismi nel film: e ad ognuna lettura di Jack al potere,
all’arte e all’umanità, si contrappongono degli incidenti, 5 incidenti. Che a
loro volta secondo alcuni possono richiamarsi ad un’opera di Warhol: fotografie
di incidenti automobilistici.
Quando Jack imbraccia il fucile da caccia ed uccide la
madre e i due figlioletti, fa un discorso, un altro dei suoi: “Abbattimento
selettivo è un’espressione molto sgradevole. Ricorda abbastanza la pulizia
etnica. Il perverso e contorto atto della caccia è stato ritualizzato a un
livello molto inquietante”. E sottolinea il piacere che hanno i cacciatori
nel mostrare i loro trofei, probabilmente rifacendosi al suo perverso
collezionare e conservare i cadaveri delle sue vittime.
E si potrebbe dire ancora tanto: il discorso sull’architettura
malata di Albert Speer, sul fatto che egli cercava dei materiali forti e deboli
tanto che le sue opere un giorno, cadenti sarebbero state paragonate a quelle
dell’antica Grecia (l’ossessione di Jack vede nei cadaveri il materiale
perfetto per edificare la sua casa). Lo stesso piacere dell’uomo nella morte
dell’altro, contamina con la sua negatività anche l’arte. E qui Jack parla dell’albero
di Goethe, e del fatto che proprio lì i nazisti costruirono il campo di
Buchenwald. E poi parla del fatto che nell’umanità ci sia la tigre e l’agnello
e di come la religione abbia ucciso la nostra ferocia e ci abbia ridotti a
degli agnelli , a degli schiavi. E qui le immagini e le citazioni di opere di William
Blake.
Insomma, un thriller che non è un thriller, che usa le
immagini e le situazioni a volte di una violenza insostenibile immorale, per
sostenere un discorso morale.
P. De P.
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