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mercoledì 13 marzo 2019

René Clair : Dieci Piccoli Indiani ( “And Then There Were None”, 1945), con Louis Hayward, Mischa Auer, Barry Fitzgerald, Walter Huston, Queenie Leonard, Roland Young, June Duprez, C. Aubrey Smith, Judith Anderson, Richard Hay– b/n, 106 minuti,


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E’ questa la trasposizione più celebre del celeberrimo lavoro di Agatha Christie.

La genesi del titolo del romanzo fu travagliata: infatti, inizialmente il lavoro si chiamava Ten Little Niggers, che in inglese si traduce “Dieci Piccoli Negretti” e che in americano avrebbe avuto più o meno lo stesso significato, condito però da un senso dispregiativo. E’ chiaro quindi che, non volendo offendere la suscettibilità altrui, il titolo fu cambiato in And Then There Were None, che è in sostanza la frase con cui si conclude la celebre filastrocca su cui è basata la storia :

Ten little nigger boys went out to dine;
One choked his little self and then there were Nine.
Nine little nigger boys sat up very late;
One overslept himself and then there were Eight.
Eight little nigger boys travelling in Devon;
One said he’d stay there and then there were Seven.
Seven little nigger boys chopping up sticks;
One chopped himself in halves and then there were Six.
Six little nigger boys playing with a hive;
A bumble bee stung one and then there were Five.
Five little nigger boys going in for law;
One got into Chancery and then there were Four.
Four little nigger boys going out to sea;
A red herring swallowed one and then there were Three.
Three little nigger boys walking in the Zoo;
A big bear hugged one and then there were Two.
Two little nigger boys sitting in the sun;
One got frizzled up and then there was One.
One little nigger boy left all alone;
He went out and hanged himself and then there were None
.

La canzone fu composta nel 1868 da Septimus Winner e ben presto divenne molto popolare: in essa si colgono degli evidenti richiami dispregiativi e razzistici per i neri liberati. In seguito il soggetto fu cambiato e i negretti diventarono gli indiani. A “Ten Little Nigger Boys” si sostituì “Ten Little Indians Boys”.

Una cosa interessante, che pochi sanno, è che della ballata esistono due versioni originali, che differiscono in sostanza solo per l’ultimo verso: He got married and then there were none al posto di He went out and hanged himself and then there were None.

Questa doppia versione ha una sua importanza per quanto riguarda, sia il lavoro della Christie sia le sceneggiature cinematografiche da esso. Infatti, Agatha Christie non scrisse solo il romanzo del 1939, ma anche una trasposizione teatrale in forma di commedia nera, all’inizio degli anni ’40, che aveva un finale assai diverso, e ottimista rispetto alla sua forma originale, giacchè prendeva ad esempio la diversa versione finale della filastrocca ( in quanto è essa a dettare il ritmo della vicenda criminale e la successione delle morti).
Il romanzo narra dell’invito su un’isola deserta (collegata alla terraferma da una barca a motore che la raggiunge solo due volte alla settimana) di otto persone, che non si conoscono tra loro, ciascuna delle quali è stata invogliata ad andarvi da una rispettiva persona amica. Il padrone di casa, certo Owen, non li aspetta ma al suo posto essi trovano una coppia di servitori, assunti tramite un’agenzia di lavoro. Anche loro non conoscono il Signor Owen. La sera stessa del loro arrivo, mentre aspettano con irritazione il padrone di casa, una voce preregistrata su un disco accusa loro 8 e i due domestici, di essere tutti degli assassini. Qualche minuto dopo, mentre sorseggia un bicchiere di liquore, corretto al..cianuro, Anthony Marston, un rampollo di nobile famiglia, perditempo per professione (e assassino) muore avvelenato. E cosa singolare, ma che si ripeterà per tutti gli avvenimenti successivi, in una composizione che gli ospiti hanno trovato sul tavolo, raffigurante dieci negretti di porcellana, uno viene ritrovato rotto: così ne rimangono nove come nove sono gli ospiti rimasti. E man mano che saranno uccisi, anche le statuette verranno ritrovate rotte, fino a che non rimarrà intera neanche una; pardon, finchè non ne rimarranno solo due, con Vera Claythorne e Philip Lombard soli sull’isola, e ognuno che crede che l’altro sia l’assassino che ha eliminato gli altri 8; Vera riesce ad impossessarsi della pistola e uccide Lombard; ritornata nella sua stanza vi trova un cappio calato dal soffitto e, cedendo al rimorso di aver ucciso anch’essa, si uccide.
A questo punto, la sequenza delle morti non dovrebbe lasciare alcun adito al dubbio, se tuttavia qualcuno non dibattesse del fatto che, diversamente da quello che pensavano i dieci convenuti poi coinvolti nella strage, qualcuno comunque ci sarebbe dovuto essere, tanto più che la sedia grazie alla quale Vera si è impiccata, non viene trovata in mezzo alla stanza rovesciata, ma allineata compostamente. Il mistero si risolverà quando verrà ritrovato il messaggio del vero assassino, che costruisce il quadro degli avvenimenti. Questa la sintesi del romanzo.

Tuttavia come abbiamo detto la Christie approntò successivamente anche una piece teatrale, nel 1943, in cui il finale era diverso: in pratica rimanevano i due ultimi convenuti, Philip e Vera, uniti anche da una qualche reciproca attrazione, che inscenavano la finta morte di Philip. Così quando il vero assassino si rivelava e annunciava la volontà di uccidersi per far ricadere la colpa sull’ultima rimasta, apprendeva con rabbia, nell’immediatezza della morte, di essere stato a sua volta ingannato dai due, che poi si sposavano.

Questa doppia versione christiana è stata alla base delle trasposizioni cinematografiche, la più famosa delle quali è quella di René Clair, filmata nel 1945. Essa si basa sul finale alternativo, quello solare, giacchè la cinematografia americana avrebbe sicuramente accettato un prodotto con un finale bello e soprattutto in cui il crimine non paga e il piano dell’assassino non viene coronato dal successo.

Il film, diversamente dai film precedentemente realizzati su lavori della Christie, anche perché diretto da quel René Clair, ricordato soprattutto per Il Milione, fu realizzato senza badare a spese, secondo i dettami dell’industria Hollywoodiana, per cui Clair aveva già realizzato altri films; fu approntato un cast di prim’ordine, in cui figuravano grossi nomi del tempo, tutti o quasi però caratteristi utilizzati generalmente in lavori brillanti. E del resto la cinematografia di Clair è di quel tono, per cui i toni plumbei e angoscianti, presenti nel testo della Christie, nel film non ci sono. Prevalgono invece i toni leggeri e sofisticati, di commedia nera brillante: il film incomincia sul mare mosso ed una barca che trasporta delle persone, fino ad un’isola dove sono stati invitati per un week-end, ognuno da un proprio amico; le persone non si conoscono, e per quattro minuti e quarantacinque secondi nessuno parla: la prima a parlare è Vera Claythorne con Ethel Rogers, la cuoca e cameriera (che con suo marito Thomas, che è il maggiordomo, è stata assunta da un misterioso Signor Owen):

-“Tranquillo”, dice Vera.  – “Anche troppo”, commenta la cuoca.

Questo brevissimo dialogo già interpreta il tono nero della commedia: di lì a poco ci sarà una mattanza, che non avrà proprio nulla di “tranquillo”. Per apprezzare la raffinatezza della regia, è ancora il dialogo tra il giudice e il medico entrambi accusati dal padrone di casa, sempre inesistente, di nome Owen (la cui pronuncia inglese gioca volutamente con Unknown, cioè “Sconosciuto”), di essere degli assassini: ridono sfacciatamente confessando di non credere l’uno nella giustizia di cui è un rappresentante e in ragione della quale ha condannato ingiustamente un innocente sapendo che sarebbe stato ucciso e l’altro nella medicina, essendo un medico che ha ucciso una paziente mentre era ubriaco. E mentre questi due “degni professionisti” ridono, la governante e il maggiordomo, coniugi accusati di aver ucciso la loro padrona, commentano “Occhio non vede cuore non duole”, dopo che il cibo cotto è andato a finire per terra, e poi pulito è stato messo nel piatto di portata; e il principe russo (ma nell’originale di Christie era uno scapestrato rampollo di famiglia nobile inglese, Anthony James Marston) ammette che gli hanno tolto la patente perché ha investito due persone: ma come lo dice, si è condotti a pensare che sia più amareggiato per la patente che non per la morte cagionata irresponsabilmente. Ed è lui a suonare e cantare la filastrocca al pianoforte, prima di stramazzare al suolo avvelenato dal liquore al cianuro che stava bevendo, inaugurando la strage.

Insomma, un bel nutrito gruppo di farabutti! Per i quali è stata predisposta una bella ghirlanda di figurine in porcellana raffigurante dieci piccoli indiani: dopo la morte del principe, la figurine di porcellana rimaste saranno nove. E man mano che esse si assottiglieranno di numero, aumenterà l’angoscia dei rimanenti, che vi faranno sempre più riferimento: guarderanno con terrore se le figurine si siano ridotte, perchè questo significherà che l’assassino implacabile, una sorta di giustizia divina, avrà ricominciato a mietere vittime. Perchè è questo che emerge con forza: l’implacabilità e ineluttabilità della morte, il cui procedere è contrapposto alla meschinità, al terrore e alla paura degli assassini ora divenuti vittime a loro volta, quasi che siano esposti ad una sorta di contrappasso dantesco.

René Clair, utilizza per il suo film, il finale del lavoro teatrale che riprende il finale alternativo e bello della filastrocca : l’ultimo negretto (poi indiano) si sposò.
In realtà anche gli altri successivi film remakes del primo del 1945, hanno adottato questo finale (nel film del 1965 di George Pollock, che aveva firmato altre trasposizioni da romanzi della Christie,  la vicenda si svolge in una casa di montagna completamente isolata dal resto del mondo e toccata solo da una teleferica; mentre, curiosamente, nel film di Peter Collinson, del 1974, la vicenda si svolge nel deserto, in un mausoleo ad Isfahan, in Iran, e siccome la vittima destinata ad essere uccisa da un’ape come nella filastrocca, non può esserlo perché nel deserto non vi sono api, ecco che ad ucciderla provvede un serpente ) tranne un film russo del 1987, Desjat’ negritjat di Stanislav Govorukhin, che riporta invece il finale tremendo della prima versione della filastrocca e del romanzo della Christie.

P. De P.

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