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domenica 18 agosto 2019

Jean-Pierre Melville : Frank Costello faccia d'angelo (Le Samouraï, 1967) . Con Alain Delon, François Perier, Nathalie Delon


Capolavoro del Polar francese, Le Samouraï è un film sul destino, amaro come non pochi, asciutto, tagliente, essenziale nei suoi dialoghi, ma oltremodo efficace.
Già nella presentazione del film viene enunciato quello che è il motivo dominante del film, la solitudine del Samurai:
“Non c'è so­li­tu­di­ne più pro­fon­da di quel­la del sa­mu­rai, tran­ne forse quel­la della tigre nella giun­gla".E la prima scena del film riprende il suo monolocale, Jef sdraiato sul letto che fuma, la gabbia con l'uccellino al centro della stanza: la tana del samurai.
 

Jef Costello (diventa Frank nell'edizione italiana, e perchè mai? Per richiamare il Frank Costello gangster americano ?) è un killer, un assassino prezzolato pronto a mettersi al servizio di chiunque per portare a termine una missione. Le prime scene del film già inquadrano una delle metodiche di Jef: rubare un'auto (è sempre una Citroen DS), metterla in moto grazie ad un mazzo di molte chiavi, portarla in un'officina clandestina, dove provvedono a cambiare le targhe, avere i documenti falsi, e una pistola per commettere l'omicidio.
Jef, si reca in un night, infagottato nel suo impermeabile avana e cappello, infila dei guanti bianchi per non lasciare tracce, entra senza tanti complimenti nella stanza del direttore, e dopo avergli spiegato perchè è lì, lo uccide. Il bello è che pur nascosto il volto dai suoi abiti, qualcuno lo ha visto. in particolare lo ha visto la pianista mulatta, che sentendo lo sparo è nel corridoio, che Jef deve percorrere per uscire. I due si incrociano, si guardano, e poi Jef va via.
A questo punto il piano prevede tutta una serie di mosse, precise: si disfa della pistola, gettandola nella Senna; prende l'auto che aveva rubato e la lascia in una via; poi da qui prende un taxi; va a casa dell'amante, sapendo che ad una data ora arriverà un tale con cui ha un appuntamento, e fa in modo che quegli lo veda allontanarsi, come se sia uscito dall'appartamento; infine va in un apprtamento dove sa che stanno giocando a poker.
Intanto la polizia ha diramato l'ordine di prendere il killer sbarrando tutte le vie d'accesso, e di fermare chiunque venga trovato per strada e comunque non a casa propria. Così viene fermato lui, e messo a confronto assieme a molti altri fermati in un riconoscimento all'americana: i testimoni sono coloro che lo hanno visto, compresa la pianista. Qui avviene una sorpresa: Jef viene riconosciuto da un testimone ma non da altri, prima fra tutti la pianista.
Comunque sia la certezza dell'unico, da al Commissario la sensazione che Jef sia davvero l'assassino, solo che lui oppone un alibi a prova di bomba: stava a letto con l'amante, quando la vittima è stata freddata. Ascoltata l'amante e fermata assieme al cliente (l'amante è una squillo che accoglie i clienti a casa sua), i due confermano l'alibi del killer. Il commissario deve rilasciare i due, e a malincuore anche Jef, dopo che viene messo a confronto di nuovo con la pianista. Ma siccome egli è persuaso che in fondo sia lui, per la freddezza con cui ha risposto ai poliziotti, viene messo sotto osservazione.
Intanto Jef è andato a riscuotere il prezzo dell'omicidio, ma i mandanti hanno paura che lui, seguito dalla polizia, possa parlare e quindi tentano di ucciderlo, riuscendo solo a ferirlo  di striscio al braccio sinistro.
La polizia a sua volta, vuole spiare Jef e pertanto mettono una radiospia nella sua stanza occultata da una tenda. 


Non tengono in considerazione tuttavia l'uccellino in gabbia nell'appartamento di Jef: l'uccellino spaventato dagli intrusi si comporta diversamente dal solito quando rientra Jef e così lui, che è così calmo, freddo e metodico, capisce che dev'essere accaduto qualcosa mentre era via e infatti scopre la radiospia.
A questo punto tentano di tenerlo d'occhio con pedinamenti, per la città, nelle stazioni della metro,nei bus, ma lui riesce sempre ad avere la meglio.
Già una volta ritorna sul luogo del misfatto solo per incrontrare la pianista e chiederle perchè abbia taciuto, e imporle il suo perchè: perchè lei NON avrebbe dovuto in ogni caso non riconoscerlo. Quindi le chiede  informazioni su chi siano questi tipi. Loro intanto decidono di cambiare tattica: visto e consoderato che è troppo furbo, intanto cercano di riportarlo dalla loro parte e mandano un emissario con il pagamento del primo assassinio e un'altra commissione già liquidata per un altro assassinio: dovrà eliminare la pianista. Così non ci sarebbero più testimoni in grado di riconoscere Jef e di converso mettere al sicuro i mandanti.
Ora Jef va dalla sua amante e capisce che è stata molestata dai poliziotti, e pertanto le assicura che non avrà più problemi.

Ruba di nuovo un'auto, la porta nel solito posto, gli danno una pistola e lui la prima cosa che fa  non è uccidere la ragazza, ma il mandante saputo il nome dall'emissario. Quindi si reca nel night club, lascia il cappello al guardaroba, e si disinteressa dello scontrino corrispondente, si avvicina alla pianista mostrandole la pistola e mentre l'impugna, viene ucciso dalla polizia alle sue spalle. 
La sorpresa è grande: la pistola era senza proiettili. 
Il Samurai ha voluto fare harakiri, dandosi una morte gloriosa e togliendo da ogni problema le persone care.

Le Samouraï fu il maggior successo commerciale tra i film di Melville, non solo per l'interpretazione leggendaria di Delon, ma anche per la qualità del film, che traspare in mille particolari.
Innanzitutto la natura del Samurai: è un killer, metodico, freddo, preciso. E come un samurai, Jef si comporta in una determinata maniera.
Il critico cinematografico De­ni­tza Bat­che­va nel suo saggio sull'o­pe­ra di Jean-Pierre Mel­vil­le Jean-Pierre Melville : de l’œuvre à l’homme, sostiene che "uno dei trat­ti mo­der­ni di Mel­vil­le, con­si­ste nel ri­dur­re i per­so­nag­gi ad una pura este­rio­ri­tà com­por­ta­men­ta­le che rende im­pos­si­bi­le qua­lun­que ana­li­si psi­co­lo­gi­ca delle loro azio­ni. Li ve­dia­mo ope­ra­re senza mai sa­pe­re quel­lo che pen­sa­no – da qui il loro si­len­zio come in una 'ma­ni­fe­sta­zio­ne del­l'in­son­da­bi­le opa­ci­tà del­l'es­se­re". Non a caso Jef non parla quasi mai, e pertanto quel poco che dice è altamente significativo: le prime parole per esempio sono quelle che dice al padrone del Night Club prima di ucciderlo. Un film che privilegia quindi l'azione e le riprese, non i dialoghi. Quando un dialogo c'è, si può star sicuri che Melville vuole dirci qualcosa.


Per es. quando colui che gli ha sparato e che in seguito, per ordine dei mandanti, lo contatta non per ucciderlo ma per chidergli di uccidere su commissione un'altra persona, lui dice: "Non parlo mai con chi ha una pi­sto­la in mano". E' la frase, per chi non lo ricorda, che pronunzia Humphrey Bogart in The Maltese Falcon (1941) di John Huston, quando Peter Lorre lo minaccia con una pistola. Ma come scrivevo a proposito dell'analisi di Le Flic (Notte sulla città), quando davanti alla puttana uccisa nel suo appartamento, il commissario  guardando il muro su cui vi sono tante scritte, tra le quali Melvielle riporta anche parecchi dei suoi film precedenti, dice di analizzarle.



Questa specie di catena che lega ogni film tra loro e che  in sostanza lega questo film a Le Cercle Rouge (I Senzanome) è una espressione molto simile che troveremo lì quando Delon rivolgendosi a Volontè, dopo il loro incontro in aperta campagna, dirà: “Non ri­spon­do quan­do sono mi­nac­cia­to”.
Tuttavia i giochi di specchi non riguardano solo le opere di Melville, ma soprattutto quelle a cui si riferisce. Non a caso troviamo molti rimandi e citazioni di quello tra i cineasti americani che lo impressionarono maggiormente, John Huston. Non solo il dialogo precedente, ma anche il confronto all'americana di Jef Costello, ci sembra riferito a quello di The Asphalt Jungle (1950), come a Giungla d'Asfalto si rifarà I Senzanome. E del resto il primo film noir di Melville, Bob le Flambeur (1955) un esordio indubbiamente originale, con il finale che si differenzierà da tutti quelli successivi perchè ottimista, si rifece a parecchi film precedenti considerati dei battistrada del genere: The Asphalt Jungle, di John Huston; Double Indemnity, di Billy Wilder; Du Rififi chez les hommes, di Jules Dassin e Touchez pas au grisbi,  di Jacques Becker.


Interessante è quanto affermò Melville a riguardo di quella fissazione di Jef, concernente il suo vestiario sempre eguale (giacca grigia, soprabito color avorio o cappotto scuro, cravatta, cappello grigio, guanti bianchi) del suo film e il tic di toccare e sfiorare ripetutamente il suo cappello, durante l'intervista Rui Nogueira:
...è la de­scri­zio­ne me­ti­co­lo­sa, cli­ni­ca del com­por­ta­men­to del­l'as­sas­si­no a pa­ga­men­to che è, per de­fi­ni­zio­ne, uno schi­zo­fre­ni­co .


Del resto quest'attenzione di Melville nei momenti delle vestizioni, ci riporta alla meticolosità della vestizione del padrone del night amico del commissario in Notte sulla città, quando in treno, si veste da passeggero in veste da camera.
Come riportato  e notato da parecchi critici, la schizofrenia è rivelata da un comportamento bipolare, e neanche a farlo apposta, e quindi voluto, il fatto che, durante il film, molte sono le situazioni che presentano una bipolarità. Sono stati notati già da altri: "Co­stel­lo ruba due auto; uc­ci­de due uo­mi­ni;
in­con­tra due volte l'uo­mo della pas­se­rel­la; torna due volte sul luogo del de­lit­to ; ci sono due mazzi di chia­vi iden­ti­ci uti­liz­za­ti sia da Co­stel­lo sia dai (due) po­li­ziot­ti; due donne hanno ac­ces­so al suo mondo in­te­rio­re; nel film ci sono due scene (ma­gi­stra­li) d'ad­dio; sfug­ge a due pe­di­na­men­ti". Io noto anche : incontra due volte l'uomo che modifica l'auto rubata, usa due pistole diverse, due volte viene sottoposto a confronto coi testimoni (prima, nel confronto all'americana; poi, nell'ufficio di polizia, a quattr'occhi). Ma un'altra cosa particolare che mi pare altamente significativa è quella che dice
Gi­net­te Vin­cen­de­nau in Jean-Pier­re Mel­vil­le, An Ame­ri­can in Paris:
Jef può es­se­re anche visto sotto la luce del dandy.[…] Il dandy è una fi­gu­ra nar­ci­si­sti­ca, spes­so ari­sto­cra­ti­ca, ec­ces­si­va­men­te pre­oc­cu­pa­ta del­l'ab­bi­glia­men­to e del pro­prio mo­strar­si, che vive un certo si­gni­fi­ca­ti­vo ri­tua­le di vita ma è alie­na­to dal mondo reale. […] Fran­cois Dolto af­fer­ma che que­sta alie­na­zio­ne si­gni­fi­ca­va che il dandy non ac­cet­ta 'al­cu­na au­to­ri­tà, nem­me­no quel­la del­l'a­mo­re'.”- “può es­se­re solo un caso che Jef, dopo che è stato ri­la­scia­to dalla po­li­zia, fugge at­tra­ver­so un pa­laz­zo si­tua­to su via Lord Byron?
L'esistenza paranoica del samurai, di questo killer alienato, che vive quasi come un recluso nel suo piccolo squallido monolocale, che per lui è come una tana (e che vive come l'uccellino che egli tiene in gabbia nel suo monolocale) e quando vuole trovare la sua donna, non esce con lei ma va a trovarla nel suo appartamento, altro mondo chiuso, in cui lei vive e lavora (fa sesso con chi la mantiene), si ritrova nella frase che Melville scrive nell'introduzione del film, e che come Le Cercle Rouge, si rifa al Bushido : “Non c'è so­li­tu­di­ne più pro­fon­da di quel­la del sa­mu­rai, tran­ne forse quel­la della tigre nell giun­gla”. Del resto, la ripetitività del Bushido nell'opera Melvilliana, ci porta anche a ipotizzare un suo tributo alla filmografia giapponese di Kurosawa: infatti non a caso, al tempo dell'uscita de Le Samourai, erano già noti in Occidente sia Rashomon, sia I Sette Samurai, che La Sfida del Samurai. Il fatto che Il Samurai Jef, viva come una tigre nella metropoli, porta anche al fatto che abbia una tana, e possa essere braccato: cosa sono infatti i pedinamenti di Jef nelle strade, metro, sottopassaggi, se non una forma di caccia?
Altro motivo interessante, è quello dell'ambiguità e di come le azioni di poliziotti e malviventi non possano sempre essere perfettamente distinte. Non a caso infatti nel film Melville posa l'occhio della cinepresa su azioni che gettano nella spettatore la sensazione che i metodi usati da polizia e criminali non siano del tutto netti: per es. l'interrogatorio in casa di Jane Lagrange, ad opera del Commissario di polizia incaricato delle indagini e la perquisizione arbitraria fatta senza autorizzazione del magistrato; o il piazzamento della microspia nell'appartamento del sospettato di cui sono artefici due individui che fino all'ultimo non si capisce cosa siano se poliziotti o malviventi, visto che neanche il furgone sul quale montano per andare via riporta le insegne della polizia, individui che usano per di più un mazzo di chiavi esattamente uguale a quello usato da Jef per rubare le auto di cui si serve per commettere gli omicidi. Alcuni hanno notato un altra citazione a tale riguardo: quella di M, il Mostro di Dussendorff, di Fritz Lang (1931) di cui è interprete quel Peter Lorre che aveva minacciato Bogart in Giungla d'Asfalto.

Infatti in "M" (M in tedesco non sta per Mostro, come saremmo portati a pensare dalla traduzione italiana, ma per Mörder, assassino), sia la polizia che i criminali intentano un processo al pedofilo assassino.


Jef braccato, sapendo che la sua donna per causa sua sarà braccata a sua volta dalla polizia, decide di farla finita e commette un harakiri come farebbe d'altronde un qualunque samurai con un forte segno dell'onore: allo stesso modo del rituale con cui si vuole che il samurai si uccida, Jef decide di morire davanti alal donna che l'ha salvato, e che ha avuto ordine di uccidere. Il suo senso dell'onore che è anche gratitudine, lo porterà a saldare il conto con chi l'aveva assoldato per il primo delitto tentando poi di farlo uccidere, uccidendolo a sua volta, e poi andando dalla sua donna dicendole che non avrebbe avuto più alcun problema in quanto avrebbe risolto lui tutto. Già questo preannunzia il suo suicidio (sarà ucciso, ma avendo tentato di uccidere la pianista con una pistola scarica, quindi volendo morire, come il samurai viene decapitato dopo l'harakiri), e altri segni saranno il cappello, da cui non si separa mai, affidato al guardarona del night, e il biglietto per il ritiro che egli abbandona senza prenderlo sul bancone.
Fotografia di eccellenza di Henri Decaë, uno dei grandi maestri della Nouvelle Vague. A lui si devono le riprese studiate. E l'uso del colore (fu il primo film di Melville ad usarlo).


Pietro De Palma